Austria Imperiale: mito e storia
Dalle glorie millenarie alla Cappella viennese dei Cappuccini

Trascorso più di un secolo dalla conclusione della Prima Guerra Mondiale, i cui effetti furono decisivi anche a lungo termine, conviene rammentare che il nuovo assetto europeo scaturito dal conflitto ebbe una conseguenza fondamentale nella fine degli Imperi Centrali, e soprattutto della Monarchia Austro-Ungarica, che diversamente da quella Tedesca aveva espresso una tradizione millenaria, tanto più ragguardevole alla luce di origini che risalivano al Sacro Romano Impero.

Lo scorrere del tempo non ha precluso la maturazione di rinnovate attenzioni per quella pagina storica dalle conseguenze irreversibili, e nello stesso tempo rivoluzionarie, in guisa da azzerare l’impatto conservatore, se non anche reazionario, della Santa Alleanza, del Congresso di Vienna e delle lotte di retroguardia contro i successi delle nazionalità emergenti.

Nella storiografia recente la Grande Guerra continua ad attirare attenzioni che nonostante i frequenti contributi revisionisti, considerati ormai fondamentali dalla maggior parte degli storici, la inseriscono in una sorta di continuazione e di conclusione del Risorgimento, come nell’opera ormai classica di Gilles Pècout, o prima ancora, nelle valutazioni di Benedetto Croce e delle altre interpretazioni idealistiche.

Ciò trova conferma anche attraverso l’esame psicologico dei maggiori protagonisti, con particolare riguardo a quelli asburgici, e le trasformazioni indotte da un momento storico eccezionale, all’insegna di una matura consapevolezza circa il carattere irreversibile della nuova realtà politica europea e mondiale. Nella medesima ottica si deve inserire il dibattito sulla cosiddetta «Vittoria mutilata» che in talune circostanze ha finito per assurgere al ruolo di mito, anche se le disposizioni del Patto di Londra (aprile 1915), propedeutico alla «discesa in campo» dell’Italia, furono oggettivamente travolte in sede di Conferenza della pace (in luogo di buona parte del territorio dalmata le fu riconosciuta soltanto la piccola «enclave» di Zara).

Una parte sia pure minoritaria di quella storiografia ha dedicato attenzioni di rilievo ai personaggi di maggiore spicco della Casa Regnante a Vienna e Budapest: Francesco Giuseppe, Elisabetta, Rodolfo, Francesco Ferdinando, Massimiliano, per non dire di Carlo, l’ultimo Imperatore salito al trono nel 1916, che avrebbe dovuto assistere al crollo militare e politico di due anni dopo, ma chiudendo una travagliata esistenza in odore di santità. Da questo punto di vista, un accenno specifico compete alle ultime opere di Romana De Carli Szabados, oggetto di approfondimenti ben calibrati sui caratteri di detti personaggi, la forza spesso decisiva dell’ambiente di Corte e le attenzioni che alcuni di essi, come Rodolfo e lo stesso Carlo, ebbero per i nuovi principi di libertà e di nazionalità: quasi a porre in luce che le contraddizioni dell’assolutismo finirono per coinvolgere paradossalmente anche i vertici asburgici.

Parecchi di costoro non ebbero in sorte una morte naturale: nell’ordine, caddero sotto il fuoco altrui Massimiliano (in Messico), Elisabetta (in Svizzera) e Francesco Ferdinando assieme alla moglie Sofia Chotek (in Bosnia-Erzegovina), mentre Rodolfo, almeno secondo le interpretazioni largamente prevalenti, si sarebbe ucciso per mano propria. In questo senso, esiste una continuità tragica nella saga degli ultimi Asburgo, che senza scomodare la Nemesi proposta nell’ode di Giosué Carducci sembra ricondursi a un comune destino nella cui determinazione ebbero notevole se non anche decisiva rilevanza le ragioni e le vicissitudini personali.

La teoria delle «élites» politiche di Gaetano Mosca e di Georges Sorel deve essere integrata con Sigmund Freud e con le sue scoperte fondamentali in tema di personalità, e soprattutto dell’inconscio. Si tratta di una questione di metodo e di ragionevole oggettività, da risolvere cercando nei comportamenti dell’Imperatore Francesco Giuseppe, dei suoi familiari e dei loro massimi collaboratori, al di là delle motivazioni politiche, certamente più palesi, quelle di carattere intimo, e si vorrebbe dire psicanalitico. Per questo, la commistione fra mito e storia, che nella vicenda asburgica assume connotazioni di tutta evidenza, si arricchisce di connotati particolari, idonei a spiegare un grande dramma umano, a sua volta matrice non ultima di una tragedia collettiva immensa.

Va detto che in varie circostanze il comportamento dello stesso Imperatore seppe distinguersi, anche in senso etico, da quello di una casta militare chiusa e miope. Qui, basti ricordare che ai primi del 1909 il Capo di Stato Maggiore Conrad von Hoetzendorf propose di «liquidare» l’Italia approfittando del fatto che era stata messa temporaneamente in ginocchio dal terremoto di Messina e Reggio Calabria: ebbene, Francesco Giuseppe, fedele alle alleanze dell’epoca, ma prima ancora a un corretto senso dello Stato, non diede alcun seguito a tale ipotesi obiettivamente perversa. D’altro canto, va pure soggiunto che si guardò bene dal concedere la grazia sovrana ai patrioti italiani condannati alla pena capitale, primo fra tutti il martire triestino Guglielmo Oberdan, vittima di un processo all’intenzione, o meglio al suo ideale irredentista.

In realtà, Francesco Giuseppe era prigioniero di se stesso e di consolidate convenzioni a volte terribili ma consapevole del ruolo cui era stato chiamato sul proscenio di una storia che non ammetteva compromessi. Considerazioni sostanzialmente analoghe, «mutatis mutandis», valgono anche per Rodolfo, l’erede al trono imperiale scomparso nell’angosciosa vicenda di Mayerling assieme all’infelice Maria Vetsera; ma anche per il figlio di Napoleone e di Maria Luisa d’Austria, il non meno infelice «Aiglon» parimenti scomparso in età giovanissima fra gli agi apparenti della Corte Viennese, ma sostanzialmente abbandonato persino dai familiari più stretti.

Con gli ultimi Asburgo, il mito è entrato nella storia, oltre che nella Cappella viennese dei Cappuccini che ne ospita i sepolcri, e la storia si è arricchita del mito, come fonte che talvolta può diventare non meno importante dei documenti ufficiali. Se è vero che la storia è fatta soprattutto dall’umanità, e che possiede un valore attuale in cui il tempo costituisce una variabile indipendente, è altrettanto vero che vi partecipano i caratteri e le passioni, al pari delle grandi idee trainanti e dell’«ethos» pubblico e privato. A buon conto, una conclusione obiettivamente inderogabile resta quella del celebre poeta inglese Thomas Gray (1716-1771) che nel cosiddetto «Secolo dei Lumi» aveva già compreso con lucida sintesi lirica il destino ineluttabile dei grandi protagonisti storici, o presunti tali: «I sentieri della gloria conducono solo alla tomba».

(luglio 2021)

Tag: Carlo Cesare Montani, Impero d’Austria, Gilles Pécout, Benedetto Croce, Francesco Giuseppe, Elisabetta d’Asburgo, Rodolfo d’Asburgo, Francesco Ferdinando, Sofia Chotek, Massimiliano, Carlo I d’Asburgo, Romana De Carli Szabados, Giosué Carducci, Gaetano Mosca, Georges Sorel, Sigmund Freud, Franz Conrad von Hoetzendorf, Guglielmo Oberdan, Maria Vetsera, Napoleone Bonaparte, Napoleone II, Maria Luisa d’Asburgo, Thomas Gray, Austria Imperiale, Prima Guerra Mondiale, Sacro Romano Impero, Santa Alleanza, Congresso di Vienna, Patto di Londra, Enclave italiana di Zara, Messico, Svizzera, Bosnia-Erzegovina, Budapest, Impero Austriaco, Messina, Reggio Calabria, Mayerling, Cappella viennese dei Cappuccini.