Alto tradimento: dagli irredentisti del 1916 agli Italiani del 1945
Dalla condanna capitale in contumacia pronunciata da un tribunale asburgico a carico dei patrioti irredenti del 1916 al massacro partigiano slavo-comunista del 1945

Agli inizi del 1916, un anno che avrebbe visto Cesare Battisti, Fabio Filzi e Nazario Sauro immolarsi sulle forche dell’Austria, perché colpevoli del delitto di italianità, l’occhiuta giustizia di Francesco Giuseppe si era già messa al lavoro con singolare solerzia. Un esempio? È del febbraio di quell’anno il processo per alto tradimento celebrato davanti al Tribunale Militare di Fiume nei confronti di 23 patrioti che avevano scelto di anteporre la fede al formalismo giuridico, e di combattere al servizio della Bandiera tricolore[1]. In realtà, l’Impero Asburgico era un coacervo di 12 diverse nazionalità, ma si ostinava a propugnare con singolare pervicacia il verbo della Santa Alleanza, e non appena possibile, a mandare al capestro coloro che disertavano, non già per vigliaccheria, ma per onorare la propria Patria con la mente e con il cuore, a doppio rischio della vita.

Quelle condanne non vennero eseguite, perché gli «imputati» erano naturalmente irreperibili, pur costituendo il fondamento legale dell’esecuzione immediata in caso di cattura. Tra quei patrioti figuravano Riccardo Gigante, che in seguito sarebbe diventato Senatore del Regno e primo cittadino di Fiume; Ipparco Baccich, che oltretutto era già caduto sul Veliki durante una delle offensive italiane di fine 1915, ed il fratello Icilio, anch’egli destinato al laticlavio, quale Senatore espresso dalla città quarnerina. Vale la pena di ricordare questi nomi per due semplici ragioni: da una parte, la disinformazione di una Corte che condannava a morte un caduto, anticipando talune pronunzie postume della giustizia partigiana jugoslava degli anni Quaranta e, dall’altra, il tragico destino di Riccardo Gigante e di Icilio Baccich, scampati alla forca austriaca, ma non al massacro delle bande titoiste.

È una storia nota: Gigante avrebbe potuto salvarsi prima dell’invasione partigiana, ma volle rimanere al proprio posto, nella certezza di non avere alcunché di cui rispondere, essendo nota a tutti la probità e l’imparzialità con cui aveva operato a Fiume anche nell’esercizio del suo mandato. Finì in catene, trascinato a forza verso l’infame destino della fucilazione in agro di Castua e della sepoltura in una fossa comune, lasciando tuttora vuota l’arca del Vittoriale che avrebbe dovuto accoglierne la salma con tutti gli onori dovuti al vecchio legionario, quando fosse tornato alla Casa del Padre. Si potrebbe aggiungere che da parecchi anni il luogo dell’inumazione è stato individuato, ma che i resti mortali di Gigante non sono stati restituiti: chissà che gli eredi di Tito non abbiano timore anche delle ombre, e dei valori perenni che continuano ad esprimere.

Quanto a Icilio Baccich, è inutile dire che ebbe una sorte analoga, al pari del migliaio di altri patrioti fiumani che vennero uccisi indiscriminatamente durante la mattanza del maggio 1945: fra i tanti, gli autonomisti Mario Blasich, il medico strozzato nel proprio letto di invalido perché non voleva sottoscrivere l’auspicio che Fiume diventasse jugoslava, Nevio Skull, l’imprenditore ucciso con un colpo alla nuca e gettato nelle acque dell’Eneo, e Giuseppe Sincich, prelevato nella sua abitazione in tempo reale, ammazzato come un cane sulla pubblica via ed abbandonato dietro le rovine di una fabbrica[2].

I patrioti del 1916 erano stati accusati di alto tradimento, ma se non altro, erano stati condannati alla luce di un «fumus» giudiziario opinabile quanto si vuole nel suo anacronismo, ma pur sempre statuito nelle dure norme imperiali che avevano presieduto alle condanne di tanti eletti spiriti del Risorgimento. Tutto ciò non accadde nel 1945, quando si vide regredire la cosiddetta giustizia partigiana ad espressione dei «bestioni tutta ferocia» di cui aveva parlato Giambattista Vico illustrando la sua celebre teoria ciclica dei corsi e ricorsi. Erano passati meno di 30 anni, ma l’ethos era diventato una variabile indipendente, senza dire che il delitto contro l’umanità si è tragicamente ripetuto nello scorcio conclusivo del vecchio millennio, dopo lo sfascio della Jugoslavia e l’avvento delle nuove Repubbliche indipendenti.

Aveva ben ragione un illustre politologo come Giovanni Sartori, quando – in motivato dissenso dalla tesi di una storia maestra di vita – affermava con una punta di triste umorismo che «l’unica esperienza che dà l’esperienza è che l’esperienza non dà alcuna esperienza».


Note

1 La notizia venne pubblicata dal «Corriere della Sera» il 21 febbraio 1916, sulla scorta di quanto era già comparso sulla stampa austriaca dei giorni precedenti. Per i dettagli della vicenda, confronta Massimo Gustincich, C’era una volta Fiume: raccolta di documenti, foto e articoli, a cura della Società di Studi Fiumani, Roma 2016, pagina 64.

2 La tragedia di Fiume a seguito dell’occupazione slava è oggetto di una vastissima bibliografia.
Qui, basti ricordare l’opera di Amleto Ballarini, L’Olocausta sconosciuta, Edizioni Occidentale, Roma 1986, pagine 152-155. Gigante, precisa l’Autore, «aveva contribuito a fare la storia della sua città» quale irredentista, legionario dannunziano e uomo politico, ma nello stesso tempo, uomo di cultura, con «la vivacità del suo splendido ingegno, l’amore infaticabile per la ricerca, la passione per le lettere, la lingua e i costumi della sua gente». Ed aggiunge che al mattino del 4 maggio fu visto «a piedi scalzi, le mani legate col filo spinato, gli abiti a brandelli, alla testa d’una colonna di infelici, spintonato come Cristo per l’erta del Calvario». Davvero, vittima sacrificale di odio atavico e di un cieco livore. Quanto a Blasich ed al suo allucinante sacrificio, il Ballarini (attuale Presidente della Società di Studi Fiumani) rammenta che, quasi prevedendo la sorte in agguato, aveva detto di essere «felice di offrire all’Italia quanto resta della mia povera vita e del mio vecchio sangue». A suo modo, un altro Eroe.

(febbraio 2017)

Tag: Carlo Cesare Montani, Cesare Battisti, Fabio Filzi, Nazario Sauro, Francesco Giuseppe, Tribunale Militare di Fiume, Santa Alleanza, Riccardo Gigante, Ipparco Baccich, Icilio Baccich, Vittoriale, Tito, Mario Blasich, Nevio Skull, Giuseppe Sincich, Risorgimento, giustizia partigiana, irredentisti, Giambattista Vico, Giovanni Sartori, Massimo Gustincich, Amleto Ballarini, Società di Studi Fiumani.