Aigues-Mortes, 1893
La strage dei lavoratori italiani del sale massacrati tre volte

La storia dell’emigrazione italiana è una sequenza di tragedie in cui lo sciovinismo altrui ha svolto un ruolo talvolta decisivo. Quella di Aigues-Mortes (Camargue), in cui perse la vita un numero indefinito di lavoratori del sale, comunque non inferiore alla decina che fu possibile identificare od individuare, ebbe caratteri allucinanti e conseguenze di rilevante incidenza politica, sia nelle relazioni italo-francesi, sia nei moti popolari di protesta cui diede luogo in diverse città della Penisola, con riguardo prioritario a Milano, Genova e Roma (in quest’ultima venne proclamato lo stato d’assedio) e soprattutto a Napoli, che fu protagonista di quattro giornate insurrezionali con cinque vittime, e di una brutale reazione governativa. A 125 anni da quel dramma della miseria e della paura ormai largamente dimenticato, è cosa buona e giusta ricordarlo in una luce oggettiva, se non altro per rendere onore, sia pure largamente postumo, a quanti lasciarono la vita – anche in quella surreale vicenda – per un pezzo di pane.

I fatti di Aigues-Mortes risalgono all’agosto del 1893: un anno importante nella storia del movimento operaio italiano, perché coincide con la rivolta dei Fasci siciliani[1], la strutturazione organica delle Camere del Lavoro in un quadro federale, e sul piano politico, con lo scandalo della Banca Romana, destinato a travolgere il primo Governo di Giovanni Giolitti (che sarebbe tornato al potere soltanto 10 anni dopo) ed a promuovere la costituzione della Banca d’Italia. In sostanza, si viveva una situazione complessa e per molti aspetti esplosiva, in cui la strage dei salinieri in terra di Francia ebbe effetti deterrenti, con conati rivoluzionari che vennero soffocati soltanto con la forza delle armi.

In quella torrida estate, come nelle precedenti, la stagione del sale nei giacimenti della Camargue vide accorrere nell’inospitale Delta del Rodano centinaia di operai, molti dei quali provenienti dalla contigua Italia, ed in specie dalle regioni settentrionali. La congiuntura economica particolarmente difficile, aggravata dalle tensioni fra Parigi e Roma che risalivano all’occupazione francese della Tunisia ed ai timori transalpini per l’alleanza italiana con gli Imperi Centrali, diede luogo ad una vera e propria guerra fra poveri per la difesa del posto di lavoro, a cui il padronato diede un contributo non meno importante per la facile e comoda strategia di riduzione dei salari, con prevalenti applicazioni del cottimo. La sostanziale latitanza della forza pubblica, limitata a pochi gendarmi, fece il resto, consentendo ad una folla letteralmente inferocita di avventarsi sui lavoratori italiani con una selva di armi improprie, quali mazze e forconi, e di compiere un’autentica strage[2] verosimilmente programmata, prima che giungessero da Nimes i rinforzi militari richiesti per fronteggiare l’emergenza.

Le cronache dell’epoca sono davvero agghiaccianti: non contenti di una sanguinosa vittoria consentita dalle forze decisamente impari, i Francesi si abbandonarono persino al vilipendio dei moribondi e dei cadaveri, in una mattanza di cui si resero responsabili sia gli operai, con tanti saluti alla conclamata solidarietà internazionale, sia parecchi cittadini, con la sola apprezzabile eccezione del parroco. I dettagli sono stati illustrati da documenti piuttosto circoscritti[3]: ma sta di fatto che gli Italiani superstiti vennero sostanzialmente ed immediatamente espulsi, tramite trasporto in treno fino al confine di Ventimiglia, e che molti feriti riportarono danni permanenti.

Il processo nei confronti di 16 responsabili si svolse nel successivo dicembre presso la Corte d’Assise della Charente (a centinaia di chilometri dalla Camargue) dove era stato trasferito per legittima suspicione, e si concluse con un verdetto assolutorio indiscriminato, le cui motivazioni accettarono l’impostazione della difesa, secondo cui gli imputati avevano agito a seguito di provocazioni italiane, per non dire della necessità di riconoscere a tutti loro una condizione di «poveri disgraziati» in quanto i veri responsabili si erano sottratti alla giustizia! In conseguenza, le richieste dell’accusa vennero respinte integralmente, tanto che un giovane anarchico italiano, Sante Caserio, prese la decisione di vendicare i lavoratori italiani «uccisi per la seconda volta» programmando l’attentato di Lione in cui il Presidente Francese Marie François Carnot avrebbe perso la vita[4].

In effetti, i caduti di Aigues-Mortes vennero massacrati una terza volta quando la Commissione italiana istituita presso il Ministero del Tesoro per distribuire alle famiglie delle vittime e dei feriti una somma complessiva di 740.000 lire (riveniente da 481.000 di indennizzi deliberati dal Governo Francese, e per la quota a saldo da una sottoscrizione pubblica), dopo avere esaminato le domande pervenute ne concesse soltanto 302.315, consegnando allo Stato un arricchimento eticamente illecito pari ad oltre metà della cifra disponibile[5]. Ancora una volta, l’Italia post-risorgimentale mostrava il suo vero volto, e consegnava le vittime di un ignobile delitto contro l’umanità al ruolo machiavelliano di «oggetto» della storia.


Note

1 In gennaio, l’eccidio di Caltavuturo (Palermo) in cui la forza pubblica uccise 11 manifestanti ferendone altri 40, fu soltanto un primo episodio assai sanguinoso, a cui seguirono nello scorcio dell’esercizio le repressioni di Partinico, Monreale e Lercara Friddi, sempre nel Palermitano, dove la protesta contro le vessazioni fiscali sui consumi di base venne combattuta con particolare violenza poliziesca, e con ulteriori decine di morti e feriti. Naturalmente, tali ultime manifestazioni trovarono ulteriori incentivi nella solidarietà contadina e proletaria con le vittime di Aigues-Mortes.

2 Le vittime accertate furono 10, sei delle quali Piemontesi, oltre ad un Ligure, un Lombardo, un Toscano, ed un altro operaio rimasto sconosciuto, ma il numero effettivo è tuttora indefinito (e destinato a rimanere tale), al pari di quello dei feriti, che furono parecchie decine, senza contare 15 «dispersi». Al riguardo, è da tenere presente che in quello scorcio conclusivo dell’Ottocento l’emigrazione, in specie stagionale, prescindeva da esaustive rilevazioni anagrafiche, e che analoghe carenze si trovavano negli archivi delle Società operanti nel comparto produttivo del sale.

3 La bibliografia sulla strage, a partire dalle sue origini e motivazioni, per finire alle conseguenze politiche, economiche e giudiziarie, è oggettivamente limitata. A parte diversi saggi ed articoli comparsi su riviste storiche italiane e francesi, tra i contributi specifici della storiografia contemporanea si possono ricordare le opere di Enzo Barnabà, Aigues-Mortes, Il massacro degli Italiani, Infinito Editore, Formigine 2015 (terza edizione); e di Gérard Noiriel, Il massacro degli Italiani: Aigues-Mortes 1893, Tropea Editore, Milano 2010.

4 L’attentato venne compiuto il 25 giugno 1894: al processo, il Caserio, che venne ghigliottinato nel successivo agosto dopo un rapido «iter» giudiziario, si difese motivando il suo gesto anche col precedente rifiuto della grazia presidenziale ad un compagno anarchico. In ogni caso, la strage dei salinieri ne fu concausa non meno rilevante.

5 La somma erogata venne ripartita in 72.500 lire per le famiglie di sei caduti (le altre non ebbero riconoscimenti perché si obiettò meschinamente che mancava la prova della loro uccisione da parte dei dimostranti), in 117.500 per i feriti, ed in 112.565 per i «danneggiati negli averi» (con riguardo specifico a salari non percepiti, furti e deterioramento di beni personali). Fu un corollario obiettivamente miserabile di una grande tragedia del lavoro italiano nel mondo.

(gennaio 2018)

Tag: Carlo Cesare Montani, Aigues-Mortes, 1893, strage dei lavoratori italiani del sale, storia dell’emigrazione italiana, Camargue, rivolta dei Fasci siciliani, Giovanni Giolitti, scandalo della Banca Romana, Francia, Delta del Rodano, Marie François Carnot, Sante Caserio, attentato di Lione, caduti di Aigues-Mortes, eccidio di Caltavuturo.