L’amministrazione fiduciaria italiana della Somalia (1950-1960)
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia torna nella più povera ed arretrata delle sue ex colonie per un trusteeship dagli esiti molto incerti per il territorio diretto

La lunga vicenda della sistemazione delle ex colonie italiane ebbe termine all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 21 novembre 1949. La risoluzione prevedeva: 1) l’indipendenza della Libia, comprendente la Cirenaica, la Tripolitania e il Fezzan; 2) un’amministrazione fiduciaria sulla Somalia[1], «trusteeship», affidata all’Italia; 3) la questione dell’Eritrea fu demandata ad un’apposita Commissione d’inchiesta con il compito di presentare un progetto per la soluzione migliore.

Il 22 febbraio del 1950, dopo un dibattito parlamentare molto difficile e complesso[2], l’Italia accettava l’amministrazione fiduciaria della Somalia[3]. Le clausole dell’Accordo, entrato in vigore il 2 dicembre 1950, differentemente da quelle degli altri accordi di amministrazione fiduciaria stipulati dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, presentavano la particolarità di stabilire un termine di decadenza di dieci anni dopo i quali il territorio amministrato sarebbe diventato uno Stato sovrano indipendente. L’Italia tornava non solo nella più povera delle colonie africane ma soprattutto rientrava in un territorio dove, come rilevato da Calchi Novati[4], non aveva lasciato nessun elemento credibile di influenza o prestigio per un eventuale ritorno, né una rete di complicità per mantenere dei vincoli e delle alleanze anche dopo l’era coloniale. Infatti, nell’incertezza che caratterizzò la decisione sulle colonie italiane tra le grandi potenze, non mancarono incidenti, come quello di Mogadiscio nel 1948 o prove che la popolazione locale non era del tutto favorevole al ritorno italiano[5]. Il 1° aprile 1950 l’amministrazione britannica trasferiva all’Italia i poteri per l’amministrazione provvisoria del territorio somalo. L’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (AFIS) ebbe ufficialmente inizio il 22 dicembre 1951. Il trusteeship aveva come fini l’indipendenza politica, lo sviluppo economico e l’avanzamento socio-culturale, fornendo così le basi per l’autogestione dello Stato Somalo alla fine del mandato. L’Italia entrava nuovamente, dunque, in Somalia, un Paese arretratissimo strutturato su base tribale, in cui la popolazione era dedita all’allevamento, alla pastorizia e al commercio, con una esigua minoranza legata all’agricoltura stabile[6]. Le condizioni socio-culturali erano ancora più drammatiche: un tasso di analfabetismo del 99,40%[7]; su una popolazione di 1.242.000 abitanti solo 20.000 abitanti vivevano in case di muratura; un medico ogni 60.000 abitanti e 1.254 posti-letto nei dieci ospedali distribuiti su un territorio vasto come una volta e mezza l’Italia. La difficoltà del compito era ben illustrata dalle parole di Egon Ranshofen-Wetheimer, segretario principale dell’UNACS, United Nations Advisory Council of Somalia[8], durante un viaggio attraverso il territorio somalo nei primi mesi dell’AFIS: «La Somalia, salvo le poche isole di progresso [urbano], è ancora allo stato tribalizio, come viene descritto nel Vecchio Testamento. Essa è tribalizia e nomade non c’è altra organizzazione sociale indigena che abbia qualche importanza; la pace interna è conservata soltanto mediante l’influenza che gli Italiani hanno sui capi tribù, la maggior parte dei quali sono impiegati in un modo o nell’altro dall’amministrazione italiana e ricevono piccole paghe. Un’improvvisa distruzione di questa intelaiatura condurrebbe senza dubbio a guerre fra le tribù; carestia e anarchia generale in Somalia. L’indipendenza d’altra parte, è impossibile fin tanto che la struttura tribalizia è prevalente. Il dilemma è pressoché terrificante. L’amministratore italiano, ambasciatore Fornari, che è un uomo di prim’ordine, deve essere pienamente consapevole di questo ed egli deve essere in condizioni di non saper come fare a rispettare i termini dell’accordo di tutela e rimaner fedele alla promessa fatta alle Nazioni Unite di rendere i Somali indipendenti in dieci anni, da una parte, e di come realizzare prontamente i cambiamenti politici, economici e sociali che renderebbero questa indipendenza possibile, dall’altra parte. L’unica via d’uscita è probabilmente quella di sciogliere dal legame tribalizio, per incominciare, i Somali che vivono nelle città, e di minare la struttura delle tribù in maniera tale che essa divenga soltanto un’ombra introducendo provvedimenti in materia di istruzione, di economia e di sociale, adeguati al progresso moderno»[9]. È interessante notare come l’apparato burocratico che doveva essere interprete ed artefice di questi obiettivi così ambiziosi non avesse subito alcun processo di «epurazione» dopo il recentissimo passato fascista poiché, come evidenziato da Nicola Labanca, dalla retorica del colonialismo si era passati a quella dell’Eurafrica e poi progressivamente all’ideologia della primissima cooperazione internazionale[10]. Si trattò spesso di una trasformazione di facciata, persino a livello centrale: basti pensare alla sopravvivenza negli anni della Repubblica del Ministero dell’Africa Italiana (MAI) che rappresentava un baluardo delle più retrive posizioni colonialiste e, se da un lato fu strumentalizzato per smuovere un’opinione pubblica che non percepiva in modo particolarmente lacerante la perdita delle colonie[11], dall’altro influenzò concretamente le scelte del governo, operando attraverso una serie di «centrali coloniali» che ad esso facevano capo[12]; ad esempio, secondo le accuse espresse da Giorgio Assan su «Rinascita»[13], il mandato sulla Somalia sarebbe stato voluto e imposto al governo proprio dagli alti funzionari del MAI, che rappresentavano la parte più ottusamente fascista della burocrazia. Inoltre, al di là delle nobili dichiarazioni di intenti progressiste e illuminate di alcuni responsabili romani, fin da subito la situazione locale dell’amministrazione apparve fondata su concezioni poco al passo con i tempi. Secondo Del Boca, ad esempio, nei primi due anni di mandato in Somalia, la stessa pletora di funzionari retrivi e nostalgici, sostenuta dagli esponenti della comunità italiana più ancorati ai propri privilegi, ebbe il sopravvento sulle buone intenzioni di uno sparuto gruppo di progressisti, sinceramente allineati con la svolta anticolonialista del governo[14]. L’impiego di ex funzionari coloniali finì per essere realizzato in maniera particolarmente consistente soprattutto con l’avvio del mandato italiano sulla Somalia, quando la burocrazia del MAI «pensò di potersi riconvertire senza troppi problemi nella gestione dell’AFIS, in modo da sopravvivere al Ministero stesso a prezzo di qualche compromesso»[15]. Con la creazione della DGAFIS, Direzione Generale dell’Amministrazione Fiduciaria Italiana sulla Somalia, nel gennaio 1952, infatti, la liquidazione del MAI era divenuta inevitabile e si poneva il problema di ricollocare i circa 11.000 funzionari in esubero dell’ex amministrazione coloniale; il MAI, quindi, fornì la maggior parte del personale per i ruoli tecnici e amministrativi della Somalia, dove essi costituirono, secondo Antonio Maria Morone, «un contrappeso nella gestione progressista dell’AFIS»[16]. In primo luogo, infatti, nell’alternativa tra «persone nuove», prive di esperienza «africana», e «persone vecchie», compromesse con il passato regime, la scelta italiana fu evidentemente per quest’ultima opzione che, però, finì per ridimensionare le istanze innovatrici insite nel mandato fiduciario. In secondo luogo, la scelta di conservare in Somalia un così consistente apparato amministrativo costrinse quella che inizialmente venne chiamata «assistenza tecnico-finanziaria» a impegnarsi fondamentalmente nel pagamento degli stipendi dei tecnici italiani e ne limitò drasticamente le possibilità operative. Contestando l’ennesima legge assistenziale al vaglio del Parlamento, il deputato comunista Giuliano Pajetta evidenziava nel 1961 come l’aiuto prospettato alla nascente Repubblica Somala consistesse ancora semplicemente in un sostegno alla burocrazia esportata dall’AFIS, la cui inutilità era ampiamente esplicitata, secondo il deputato comunista, dalla suddivisione per categoria dei tecnici italiani presenti in Somalia: infatti, nell’ex colonia, dove 1’80% della popolazione era dedita all’allevamento e alla pastorizia, erano stati inviati soltanto sei veterinari, mentre si contavano ben quaranta funzionari amministrativi[17].

Secondo lo storico delle relazioni internazionali Ennio Di Nolfo «generalizzando, si potrebbe dire che il sentimento, o la nostalgia coloniale sopravvissero in Italia sino all’estinguersi di quella generazione che quel sentimento aveva vissuto con forza»[18]; di conseguenza, la «vera» cesura rispetto al passato coloniale del nostro Paese è da lui collocata, non nel 1949, bensì nel 1952 o nel 1952-1954, quando sembrarono essere uscite dalla scena pubblica le ultime personalità politiche legate ai circoli ristretti dell’africanismo. Un’interpretazione che sembrerebbe confermata anche dall’analisi dei primissimi passi della cooperazione italiana nelle ex colonie, dove, come ha sottolineato Del Boca per il caso somalo[19] un «turnover» generazionale si verificò proprio nel 1954 anche sul piano amministrativo. È in quel momento, infatti, che le priorità politiche tradizionali dell’Italia, legate al mantenimento di un’influenza di stampo coloniale sulle ex colonie e alla tutela delle comunità italiane rimaste in Africa, sembrano cedere il passo agli obiettivi economici, ovvero alla penetrazione commerciale nei nuovi mercati che si vanno costituendo nei Paesi sul punto di accedere all’indipendenza politica, veicolata spesso attraverso l’offerta di programmi di assistenza tecnica. Gli ambiti in cui l’Italia ebbe maggiori risultati in Somalia furono quelli dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria. Per quanto concerneva l’istruzione, è da rilevare che «a partire dal 1950, la modernizzazione dell’ex colonia, proseguendo una politica educativa ambiziosa e geniale[20], conseguì alcuni dei risultati più notevoli di tutto il periodo fiduciario, ponendo in contatto con il modello d’istruzione occidentale circa 350.000 persone in zone urbane e 150.000 in quelle rurali su una popolazione stimata rispettivamente in 400 e 800.000 unità»[21]. L’opera di sviluppo economico dovette scontrarsi con una mancanza totale di infrastrutture, servizi essenziali primari e materie prime, conseguentemente l’AFIS si concentrò sulla valorizzazione delle esigue risorse disponibili e sulla manutenzione della rete di comunicazione stradale esistente così da assicurare il collegamento della capitale con le città di rilievo situate tra il Golfo di Aden e l’Oltre Giuba[22]. L’impegno finanziario si presentava dunque molto ingente, soprattutto per un Paese come l’Italia appena uscito da una guerra pesantissima e in procinto di avviare una ancora più difficile ricostruzione. Come evidenziato dallo storico Antonio M. Morone «la modernizzare politica non poteva prescindere da quella sociale ed economica. Una sostanziale limitatezza nei risultati raggiunti in questi due campi si riprodusse direttamente in quello propriamente politico. La condizione nomade o seminomade di gran parte della popolazione era un ostacolo oggettivo, in aggiunta al fatto che nel mondo tradizionale somalo il lavoro nei campi era considerato come svilente e dunque i tentativi dell’amministrazione italiana di sedentarizzare i nomadi, trasformandoli in agricoltori, non ebbero grandi risultati. Lo sviluppo economico, in un territorio povero, arido e scarso di materie prime come la Somalia, parimenti, non diede risultati apprezzabili in un periodo di tempo oggettivamente breve»[23]. La trasformazione della Somalia in uno Stato democratico, moderno ed unito, destinato a continuare ad esistere nel tempo, non riuscì pienamente all’AFIS, nonostante la formalizzazione dell’indipendenza con la nascita della Repubblica Somala il 1° luglio 1960; era arduo trasformare un Paese a base prettamente tribale in uno Stato democratico con istituzioni occidentali in un così breve lasso di tempo e con un apparato burocratico nostalgico dell’ex Ministero dell’Africa Italiana. L’amministrazione fiduciaria consentì, tuttavia, all’Italia di raggiungere un obiettivo molto importante: un rinnovamento della propria immagine a livello internazionale, rinnovamento che aveva già dato ampie prove attraverso l’esito delle elezioni nell’immediato dopoguerra e l’adesione alla NATO e al Consiglio d’Europa nel 1949, quindi una netta cesura con il passato dittatoriale, nazionalista e imperialista. Nel 1955, dopo cinque anni dall’inizio dell’amministrazione fiduciaria, l’Italia entrò a far parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, un traguardo rincorso fin dall’immediato dopoguerra ma non senza difficoltà, come evidenziava la bocciatura della candidatura italiana nel 1947.

In un periodo cruciale come l’immediato dopoguerra, l’Italia seppe sfruttare al meglio il trusteeship affidatole dalle Nazioni Unite, ottenendo di essere considerata una Nazione democratica pienamente inserita nel consesso internazionale occidentale, relegando, tuttavia, al ruolo di mero strumento l’indipendenza, lo sviluppo economico e sociale di una ex colonia arretrata e povera di risorse.


Note

1 Per le risoluzioni riguardanti la Somalia si veda il sito delle Nazioni Unite www.un.org/documents/resga.htm

2 Per quanto riguarda il dibattito parlamentare sull’amministrazione fiduciaria si vedano gli Atti Parlamentari delle legislature I, II, III, dal sito web della Camera dei Deputati http://legislature.camera.it/ – atto numero 1069, seduta numero 380 del 02/02/1950 (antimeridiana); seduta numero 382 del 02/02/1950; seduta numero 383 del 04/02/1950; – atto numero 2034, seduta numero 702 del 15/06/1951; seduta numero 762 del 11/10/1951 (antimeridiana); seduta numero 764 del 12/10/1951; – atto numero 2860, seduta numero 968 del 18/07/1952; seduta numero 969 del 23/09/1952; seduta numero 1112 del 31/03/1953 (antimeridiana); seduta numero 1113 del 31/03/1953 (pomeridiana); – atto numero 261, seduta numero 38 del 14/10/1953; seduta numero 55 del 29/10/1953 (antimeridiana); seduta numero 126 del 21/05/1954; seduta numero 129 del 26/05/1954; – atto numero 2246, seduta numero 293 del 13/06/1960; seduta numero 305 del 24/06/1960 (pomeridiana).

3 Per l’amministrazione fiduciaria italiana in Somalia si vedano Ioan M. Lewis, A modern history of the Somali. Revised, Updated & Expanded, Oxford, J. Currey, 2002; Renzo Meregazzi, L’amministrazione fiduciaria italiana della Somalia (A.F.I.S.), Milano, Giuffrè, 1954; Antonio Maria Morone, L’ONU e l’amministrazione fiduciaria dell’Italia in Somalia. Dall’idea all’istituzione del trusteeship, in «Italia contemporanea», 242, 2006; Antonio Maria Morone, L’ultima colonia. Come l’Italia è tornata in Africa (1950-1960), Roma-Bari, Laterza, 2011; Carlo Guido Raggi, L’amministrazione fiduciaria internazionale, Milano, Giuffrè, 1950. Ministero degli Affari Esteri, L’amministrazione fiduciaria della Somalia e i rapporti dell’Italia con la Repubblica Somala. Relazione presentata al Parlamento Italiano dal Ministro degli Affari Esteri Onorevole Antonio Segni, Roma, 1961; Presidenza del Consiglio dei Ministri servizio informazioni, Italia e Somalia: dieci anni di collaborazione, Roma, 1962.

4 Gian Paolo Calchi Novati, Il Corno d’Africa nella storia e nella politica: Etiopia, Somalia e Eritrea fra nazionalismi, sottosviluppo e guerra, Torino, Società Editrice Italiana, 1994, pagina 257.

5 A tale prova ci sono i sondaggi condotti dalla commissione O.N.U. durante lo studio dei territori prima della risoluzione definitiva.

6 Ioan M. Lewis, A pastoral democracy: a study of pastoralism and politics among the Northern Somali of the Horn of Africa, London, Oxford University Press, 1961.

7 Sul problema dell’istruzione, cultura e lingua somala: Somali Republic, in Helen Kitchen (Ed.), The educated African, London, Heinemann, 1962 e Hussein M. Adam, Language, National Consciousness and Identity – The Somali Experience, in I. M. Lewis (Ed.), Nationalism & Self Determination in the Horn of Africa, London, Ithaca Press, 1983.

8 Lo United Nations Advisory Council of Somalia (UNACS) era espressamente indicato nelle clausole dell’Accordo come avente funzioni di raccordo verso il Trusteeship Council e di collaborazione verso l’AFIS. Era formato da un rappresentate colombiano, uno filippino ed uno egiziano.

9 Archivio Storico di Casale Monferrato, fondo Brusasca, busta 46, foglio 262, rapporto confidenziale allegato alla lettera del 9 settembre 1950 da Fornari a Brusasca, pagine 3-4.

10 Confronta Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, Il Mulino, 2002, pagina 450.

11 Confronta Gianluigi Rossi, L’Africa Italiana verso l’indipendenza (1941-1949), Roma, Giuffrè, 1980, pagina 578.

12 Confronta Antonio M. Morone, Brusasca l’Africano, in Giuseppe Brusasca e gli inizi della Repubblica. Atti del Convegno di studi (27 maggio 2006), a cura di Luigi Mantovani, Edizioni Città di Casale Monferrato – Assessorato alla Cultura, Chivasso, 2007, pagina 40.

13 Giorgio Assan, Bilancio dell’Amministrazione fiduciaria italiana in Somalia, in «Rinascita», novembre-dicembre 1958, pagina 864.

14 Confronta Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, volume IV, Nostalgia delle Colonie, Cles (TN), Mondadori, 2001, pagina 228 e seguenti.

15 Antonio M. Morone, Brusasca l’Africano, in Giuseppe Brusasca e gli inizi della Repubblica. Atti del Convegno di studi (27 maggio 2006), a cura di Luigi Mantovani, Edizioni Città di Casale Monferrato – Assessorato alla Cultura, Chivasso, 2007, pagina 61.

16 Antonio M. Morone, Brusasca l’Africano, in Giuseppe Brusasca e gli inizi della Repubblica. Atti del Convegno di studi (27 maggio 2006), a cura di Luigi Mantovani, Edizioni Città di Casale Monferrato – Assessorato alla Cultura, Chivasso, 2007, pagina 67.

17 Confronta Discussione sul Disegno di legge «Assistenza tecnica e finanziaria alla Somalia e liquidazione della Cassa per la circolazione monetaria della Somalia (2798)», in Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, III Legislatura, Discussioni, Seduta del 2 marzo 1961, pagina 19.938.

18 Ennio Di Nolfo, La persistenza del sentimento coloniale in Italia nel secondo dopoguerra, in Carla Ghezzi, Fonti e problemi della politica coloniale italiana. Atti del convegno, Taormina-Messina, 23-29 ottobre 1989, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma, 1996, pagina 1262.

19 Confronta Angelo Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, volume IV, Nostalgia delle Colonie, Cles (TN), Mondadori, 2001, pagina 239 e seguenti.

20 Ioan M. Lewis, A modern history of the Somali. Revised, Updated & Expanded, Oxford, J. Currey, 2002, pagina 140.

21 Alphonso A. Castagno, Somalia, in «International Conciliation», 552, 1959, March, pagine 364, 372.

22 Una trattazione specifica sui problemi economici della Somalia durante l’amministrazione fiduciaria italiana si trova in M. Karp, The Economics of Trusteeship in Somalia, Boston, Boston University Press, 1960.

23 Antonio Maria Morone, Trapianto istituzionale e questione nazionale nell’Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia (AFIS, 1950-1960), Storie in corso. Workshop nazionale dottorandi in storia contemporanea, 23-24 febbraio 2006, Napoli, pagina 7.

(gennaio 2013)

Tag: Daniela Franceschi, Italia, Somalia, Africa, amministrazione fiduciaria della Somalia, 1950-1960, dopoguerra, Novecento, colonie italiane, Italiani in Africa.