Il movimento sionista negli anni fra le due guerre
Nonostante un antisemitismo duro a morire, il movimento di riscatto degli Ebrei continuava la sua opera per la realizzazione di una nazione ebraica

A dieci anni dalla dichiarazione Balfour, il «Corriere della Sera» faceva un bilancio dei risultati del movimento sionista attraverso un ampio articolo, non firmato, pubblicato in terza pagina[1].

Nella prima parte, l’autore scriveva erroneamente che i sionisti, dopo la dichiarazione Balfour, avevano iniziato a «sognare addirittura il regno d’Israele, nuovo Stato teocratico e dinamico che restituisse alla Palestina il carattere nazionale del Vecchio Testamento». L’articolista limitava poi la portata della dichiarazione, affermando che gli Inglesi avevano concesso solo un rifugio per gli Ebrei perseguitati dell’Europa Orientale.

Il programma del sionismo, secondo il corrispondente, era di far divenire gli Israeliti maggioranza del Paese e così dominarlo, «seppellendo ogni altra civiltà preesistente». Un desiderio irrealizzabile, poiché la popolazione araba, che possedeva «germi imbattibili di vitalità», avrebbe rappresentato sempre la maggioranza. La Palestina non sarebbe mai stata una terra ebraica, almeno dal lato demografico, linguistico e religioso.

Da evidenziare come, nell’attribuire al sionismo la volontà di dominare e seppellire le altre popolazioni presenti in Palestina, si riproponga indirettamente un’accusa classica della polemica anti-ebraica: l’intento di soggiogare il mondo da parte degli Ebrei. Inoltre, è interessante rilevare come la stessa concezione del sionismo, considerato un movimento con finalità soltanto religiose, fosse presente in un articolo, pubblicato nel 1918, di Felice Ferrero[2]. Nonostante fosse passato un decennio dalla dichiarazione Balfour, il movimento non era ancora conosciuto bene, nemmeno dai corrispondenti di un grande giornale come il «Corriere della Sera».

Nella seconda parte, si focalizzava l’attenzione sulla difficile situazione economica, ritenuta effetto della sovrappopolazione. Il giornalista notava, infatti, come la nascita di molte città fosse avvenuta prima di possedere una produzione agricola sufficiente per mantenerne gli abitanti.

Pur trovando strano che «gente pratica di affari e di calcoli come gli Ebrei» avesse commesso un simile errore, egli comprendeva il desiderio di avere subito un «centro proprio, completamente proprio di cultura, di lingua, di costumi».

Lo sbaglio più grande, a parere dell’inviato, era stato praticare una politica economica socialistoide, che si basava sull’appoggio incondizionato alle colonie agricole comuniste e socialiste, reputate un esperimento dispendioso destinato al fallimento.

Allo stesso tempo, emerge ammirazione per come il sionismo era riuscito a trasformare la Palestina in un «cantiere in ebollizione», animato da una gente nuova, rumorosa, giovane, allegra e laboriosa, che aveva europeizzato città e villaggi. Gli Israeliti avevano fondato scuole, biblioteche, quotidiani, industrie e migliorato i commerci con il resto del mondo.

Il sionismo non era dunque sconfitto, essendo in grado di superare le attuali difficoltà finanziarie.

Due settimane dopo, il giornale informava brevemente del congresso appena conclusosi[3], le cui discussioni ebbero come argomento principale la crisi economica. L’assemblea elesse una commissione di controllo con il compito di verificare la situazione e riferire sull’opera svolta dal comitato esecutivo. Inoltre, si era deciso di attuare delle misure economiche ed amministrative: l’emissione di un prestito, la compilazione di un bilancio, la riforma dell’amministrazione, l’applicazione di un sistema di tassazione e soprattutto l’emanazione di nuove leggi che meglio disciplinassero la vita della colonia.

Prima di sciogliersi, il congresso votò all’unanimità una risoluzione nella quale ringraziava i sionisti russi, minacciati dal terrore bolscevico, e protestava contro il governo dei Soviet per le persecuzioni degli Israeliti, attuate allo scopo evidente di distruggere il loro movimento nazionale.

Negli anni seguenti, il «Corriere della Sera» assunse un atteggiamento sempre più critico verso il sionismo, a partire dalla rivolta araba in Palestina nell’estate del 1929, che sarà analizzata successivamente.


Note

1 Dieci anni di sionismo, «Corriere della Sera», 30 agosto 1927.

2 Confronta Felice Ferrero, La nuova Gerusalemme, «Corriere della Sera», 9 aprile 1918.

3 Il movimento sionista. I voti del congresso di Basilea, «Corriere della Sera», 15 settembre 1927.

(anno 2002)

Tag: Daniela Franceschi, sionismo, anni Venti, Ebrei, Stato d'Israele, Novecento, movimento sionista, Felice Ferrero, congresso di Basilea, primo dopoguerra, dichiarazione Balfour, Corriere della Sera, antisemitismo.