Mai come ora la sopravvivenza dell’umanità è
stata in gioco. Non vi è niente di più
pericoloso di una guerra, sottovalutare il
proprio avversario, ignorare la sua logica,
definirlo un «pazzo».
La Jihad Islamica, rete clandestina e
internazionale che ha fatto capo allo sceicco
Osama Bin Laden, è tutt’altro che un fenomeno
di pazzia e dobbiamo capire con chi abbiamo a
che fare e perché.
Nessun giornalista occidentale è riuscito a
passare del tempo con Bin Laden, ma alcuni
hanno potuto avvicinare ed ascoltare la sua
gente.
Il giornalista Tiziano Terzani, nel 1996, ha
potuto passare una giornata in uno dei campi
di addestramento finanziati da Bin Laden, al
confine fra Pakistan ed Afghanistan.
Ne è uscito sgomento ed impaurito.
In mezzo ai mullah duri e sorridenti e a
tanti giovani, dagli sguardi freddi e
sprezzanti, il giornalista si era sentito come
«un appestato, rappresentante di una civiltà
decadente, materialista, sfruttatrice,
insensibile ai valori universali dell’Islam».
Ha visto i seguaci di Bin Laden, duri e
sprezzanti all’eccesso, pronti a morire per
una giusta causa.
Dobbiamo capire con chi abbiamo a che fare
per trovare una via di uscita e ricordare che
con la caduta del muro di Berlino e la fine
del comunismo, la sola ideologia ancora
determinata ad opporsi al Nuovo Ordine che,
con l’America in testa, prometteva pace e
prosperità al mondo globalizzato, era quella
versione fondamentalista e militante
dell’Islam.
Terzani lo aveva intuito, per la prima volta,
viaggiando nelle repubbliche musulmane
dell’Asia Centrale ex sovietica e lo aveva
sentito, con la stessa precisione, incontrando
i guerriglieri anti-Indiani nel Kashmir, e
intervistando uno dei loro capi spirituali
ebbe in regalo una copia del Corano,
perché – disse – «imparassi qualcosa».
Vedendo la carneficina nel centro di New York
e leggendo le notizie degli uomini-bomba
palestinesi, che si facevano saltare in aria,
il giornalista si sovvenne di quei giovani di
varie nazionalità, ma di una ferma fede che
aveva visto in quel campo di addestramento:
«Gente di un altro pianeta, di un altro tempo,
gente che “crede” come noi stessi abbiamo
saputo fare in passato, ma non sappiamo più,
gente che considera il sacrificio della
propria vita per una causa “giusta” come una
cosa “santa”».
Questi giovani, incomprensibili per la nostra
mentalità, sono indottrinati, abituati ad una
vita spartanissima, ritmata da una routine di
esercizi, studio, preghiere, una vita tutta
disciplina, senza donne prima del matrimonio,
senza alcool, senza droghe.
Per Bin Laden e la sua gente quello delle
armi non è un mestiere, è una missione che ha
radici nella fede acquisita nella ottusità
delle scuole coraniche, nella umiliazione di
una civiltà, quella musulmana, che si vede,
ora, sempre più marginalizzata ed offesa dallo
strapotere e dall’arroganza dell’Occidente.
Umiliazione già subita dai Cinesi davanti
alle «barbe rosse» degli Inglesi che imposero
loro il commercio dell’oppio; la provarono i
Giapponesi davanti alle «navi nere» di Perry,
Ammiraglio Americano, che voleva aprire il
Giappone al commercio. I Cinesi cercarono una
soluzione con un ritorno alla tradizione (la
rivolta dei Boxer), poi imboccarono la via
della modernizzazione di stile sovietico, indi
di stile occidentale. I Giapponesi, già a fine
’800 si misero ad imitare tutto ciò che era
occidentale, copiando uniformi degli eserciti
europei, l’architettura delle nostre stazioni
ed imparando a ballare il valzer.
Questo problema di come sopravvivere al
confronto con l’Occidente, mantenendo però la
propria identità, si è posto nel ’900 anche
per i musulmani, come nel caso dello Yemen o
dei Wahabi. In Turchia, Kemal Ataturk, negli
anni Venti, riscrivendo la Costituzione,
tolse il velo alle donne, sostituendo la legge
islamica con una copia del Codice Civile
Svizzero e una di quello Penale Italiano, che
mise il suo Paese sulla strada per divenire
parte della Comunità Europea.
Per i fondamentalisti questa
occidentalizzazione del mondo islamico è un
anatema e, secondo loro, con la fine della
Guerra Fredda l’Occidente ha scoperto le sue
carte per incorporare l’intera umanità in un
unico sistema globale che dia all’Occidente
accesso e controllo di tutte le risorse del
mondo: dal petrolio del Medio Oriente al
legname delle foreste indonesiane. Solo negli
ultimi decenni questo fenomeno della
globalizzazione, o meglio della
americanizzazione, si è rivelato.
Nel 1991 Bin Laden, fino allora un «protegé»
degli Americani (il suo primo lavoro in
Afghanistan fu quello di costruire, per la
Cia, i grandi bunker sotterranei per lo
stoccaggio delle armi destinate ai
mujaheddin), si rivoltò contro Washington.
Lo stazionamento di truppe americane nel suo
Paese, l’Arabia Saudita, durante e dopo la
Guerra del Golfo, fu, per lui, un affronto ed
una violazione della santità dei luoghi sacri
dell’Islam. Nel 1996 lanciò la sua prima
dichiarazione di guerra contro gli Stati
Uniti: «Le pareti di oppressione e umiliazione
non possono essere abbattute che con una
grandine di pallottole».
Ancor più esplicito il manifesto della sua
organizzazione, Al Qaeda, reso noto nel 1998:
«Da sette anni gli Stati Uniti occupano le
terre dell’Islam nella Penisola Araba,
saccheggiando le nostre ricchezze, imponendo
la loro volontà ai nostri governanti,
terrorizzando i nostri vicini e usando le loro
basi militari nella Penisola per combattere i
popoli musulmani vicini».
L’appello rivolto a tutti i musulmani fu:
«Confrontare, combattere ed uccidere» gli
Americani.
L’obiettivo di Bin Laden era la liberazione
del Medio Oriente. I primi attacchi della
jihad furono contro le ambasciate americane in
Africa e Washington rispose bombardando le
basi di Bin Laden in Afghanistan e una
fabbrica di medicinali in Sudan. La
contro-risposta di Bin Laden è venuta a New
York e a Washington. Da tempo, ormai, si
combattevano con mezzi e metodi nuovi, guerre
non dichiarate.
Dal 1983 gli Stati Uniti hanno bombardato a
più riprese il Libano, la Libia, l’Iran e
l’Iraq, e dal 1991 l’embargo imposto dagli
Stati Uniti all’Iraq, dopo la guerra del
Golfo, ha fatto circa mezzo milione di morti,
molti dei quali bambini, a causa della
malnutrizione.
Terzani afferma che «se vogliamo capire il
mondo in cui siamo, lo dobbiamo vedere nel suo
insieme e non solo dal nostro punto di vista.
Non si può capire quel che ci sta succedendo
solo a sentire le dichiarazioni dei politici,
costretti come sono a ripetere formule
retoriche».
Una strana coalizione si sta mettendo in moto
attraverso l’adesione di Paesi come la Cina,
la Russia e forse anche l’India, ognuno spinto
dai propri interessi nazionalistici. Per la
Cina la guerra mondiale contro il terrorismo è
una buona occasione per risolvere i suoi
vecchi problemi con le popolazioni islamiche
nei suoi territori di confine. Per la Russia
di Putin è una occasione per risolvere il
problema della Cecenia. Per l’India il suo
annoso conflitto per il controllo del Kashmir.
Secondo Terzani «sarà estremamente difficile
far apparire questa guerra solo come una
campagna contro il terrorismo e non come una
guerra contro l’Islam».
L’Islam si presta bene, per la sua semplicità
ed il suo innato carattere di militanza, ad
essere l’ideologia dei dannati della Terra, di
quelle masse di poveri che oggi sono disperate
e discriminate: il Terzo Mondo
occidentalizzato.
«Più che rimuovere i terroristi e chi li ha
appoggiati (forse ci sorprenderà sapere quanti
personaggi, alcuni insospettabili, sono
coinvolti), sarebbe più saggio rimuovere le
ragioni che spingono tanta gente, soprattutto
fra i giovani, nelle file della jihad e fanno
loro apparire come una missione il compito di
uccidersi e di uccidere. Se noi davvero
crediamo nella santità della vita, dobbiamo
accettare la santità di tutte le vite».
L’Islam è una grande e inquietante religione
con tradizioni di atrocità e di delitti, ma è
assurdo pensare che «un qualsiasi cowboy», pur
armato di tutte le pistole del mondo, possa
cancellare questa fede dalla faccia della
terra. L’Islam è ovunque!
In America vi sono tanti musulmani quanti
Ebrei (sei milioni) e 1.400 moschee, una
persino nella base navale di Norfolk.
Tutte queste guerre che sono in atto
attualmente (Afghanistan in specie) ci danno
l’occasione di ripensare a tutto e ci hanno
messo dinanzi nuove scelte.
Solo se riusciremo a vedere l’Universo come
un tutt’uno in cui ogni parte riflette la
totalità e in cui la grande bellezza sta nella
sua diversità, cominceremo a capire chi siamo
e dove stiamo.
Altrimenti saremo come la rana del proverbio
cinese che, dal fondo del pozzo, guarda in su
e crede che quel che vede sia tutto il cielo.
2.500 anni fa un Indiano, chiamato
«Illuminato», disse: «L’odio genera solo odio»
e «l’odio si combatte solo con l’amore».
È ora di ascoltare. Forse è venuto il
momento!