Vivere a Raqqa, la capitale dello Stato Islamico
Come, in un battito di ciglia, una città moderna si è ritrovata catapultata nel Medioevo più oscuro

Quando a Raqqa non c’era l’ISIS. Un tempo Raqqa era una città occidentalizzata. Le donne lavoravano, facevano le avvocatesse, le maestre, le dottoresse. Non tutte giravano con il velo. «Era una città normale, come qualsiasi altra città del mondo» – racconta a «Vice Italia» Abu Ibrahim Raqqawi, uno dei 16 ragazzi di «Raqqa is being slaughtered silently», l’unico gruppo di dissidenti della città, che pericolosamente documenta la vita e le atrocità dello Stato Islamico. «Era una città varia, c’erano matrimoni misti, come caffè e ristoranti misti. Una città qualunque». Durante la guerra civile contro il regime di Assad, anche Raqqa è stata teatro di pesanti scontri, culminati con la cacciata dell’esercito siriano e il trionfo dei ribelli. Poi, a marzo del 2013, è arrivato lo Stato Islamico, se n’è impossessato e ne ha fatto la sua capitale. Da allora è entrata in vigore la shari’a, la legge coranica, nell’interpretazione rigida propria dell’ISIS. E la vita a Raqqa è stata sconvolta.

La minuziosa e organizzata applicazione della shari’a. In quanto Legge di Dio, la shari’a applicata dall’ISIS deve essere rispettata alla lettera, pena pesanti punizioni corporali, dalle frustate alla morte. A chi ruba viene tagliata la mano, chi consuma o vende alcool viene fustigato, chi fa uso di droghe va spesso incontro alla condanna capitale. Chi uccide viene crocefisso e mostrato in pubblica piazza. Le donne devono indossare il niqab, ma col tessuto giusto, quello che non permette di intravedere nulla, nemmeno in controluce. Perché devono rimanere perfettamente coperte, in quanto ogni donna è proprietà di un uomo e in quanto tale «non è giusto» che venga condivisa con altri uomini, nemmeno per mezzo della vista. Ogni aspetto della vita quotidiana è sottoposto a shari’a e rigidamente controllato. L’ISIS ha installato telecamere ovunque e si è dotato della Hisbah, una sorta di polizia coranica che gira per le strade di Raqqa e vigila sul rispetto della Legge di Dio. Ferma i passanti, con fare amichevole, spiega loro che cosa stanno sbagliando e come cambiare quel dato comportamento. «La prima volta lo chiediamo» – spiega Abu Obida, uno dei capi pattuglia, in un documentario prodotto da «Vice News» –, «la seconda volta lo imponiamo con la forza».

Todos musulmanos. Ogni cosa che fanno è lecita perché parola di Dio, ciò che più conta per loro è credere in Dio: chi non ci crede viene punito, a partire dagli Americani e dai loro alleati, che non solo sono infedeli e apostati, ma «ci uccidono, prendono le nostre mogli e i nostri figli». Per questo devono essere a loro volta uccisi. Gli standard del diritto internazionale, i diritti umani proclamati a livello mondiale, «non ci interessano» – spiega Haidara, assistente di un giudice del tribunale sciaraitico di Raqqa – «perché noi vogliamo soddisfare Dio». E soddisfare Dio, per loro, significa anche realizzare il Califfato Islamico, uno Stato completamente musulmano regolato dalla shari’a, che raggruppi tutti i musulmani del mondo uniti sulla via di Dio. È il profeta Maometto che lo vuole, c’è scritto nel Corano, dicono. Chi a Raqqa non è musulmano, ad esempio i molti Cristiani presenti prima dell’arrivo dell’ISIS, è invitato a convertirsi. Se rifiuta la conversione può rimanere comunque nello Stato Islamico, ma deve pagare le «tasse da non musulmani». Se rifiuta anche le tasse viene ucciso. Da Raqqa quasi tutti i Cristiani sono fuggiti, ma quelli che sono rimasti e pagano la tassa da non musulmani non vengono toccati – assicurano dal tribunale. E c’è da credergli, perché anche questo significa rispettare alla lettera la shari’a.

Lo Stato islamico, un Paese sovranazionale. A Raqqa ci sono musulmani di varie nazionalità: Tunisini, Marocchini, Siriani, Iracheni. Ma anche Francesi, Statunitensi, Inglesi e Scandinavi. Restano però divisi, non si mescolano perché questi ultimi non parlano arabo, non c’è interazione, comunicazione e vengono mal visti «perché si prendono le cose più belle e i soldi della gente». A Raqqa comandano gli Iracheni, prima ancora dei Siriani. Possono girare tranquillamente da un Paese all’altro perché per loro non esiste più la Siria o l’Iraq, esiste solo lo Stato Islamico. I confini sono stati orgogliosamente abbattuti, le barriere tagliate, non ci sono più controlli al confine. È un Paese unico l’obiettivo di cui vanno fieri. L’accordo Sykes-Picot, quello con cui Francia e Inghilterra si spartirono le zone d’influenza una volta sconfitto l’Impero Ottomano, è stato cancellato. Era uno dei motivi di rancore e di rabbia del popolo musulmano radicale, una delle eredità di quegli Occidentali infedeli contro cui nessuna pietà è prevista. «Lo Stato Islamico di Maometto è nato e nessuno potrà fermarlo».

(giugno 2015)

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