La politica estera francese in Africa
Cause e conseguenze del mutamento della politica francese nei confronti degli Stati Africani dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso a oggi

Il 5 dicembre 2013, il Presidente Francese François Hollande annunciò la sua intenzione di inviare delle truppe nella Repubblica Centrafricana per contenere la violenza scatenata nel Paese dall’odio tribale. Circa un anno prima, l’11 gennaio del 2013, il Capo dello Stato Francese aveva dichiarato che il dispiegamento delle forze armate nel Mali aveva lo scopo di fermare i gruppi terroristici presenti nel Nord del Paese. Questi due interventi avrebbero potuto destare sorpresa dato il passato coloniale della Francia, la sua situazione finanziaria ed economica; infatti, il Governo aveva varato un imponente taglio delle spese di bilancio e prevedeva di eliminare dal settore della difesa, dal 2015 al 2019, 24.000 posti di lavoro. Ciò poteva far pensare che la Francia avrebbe evitato di essere coinvolta nei conflitti africani. Tuttavia, anche negli anni della decolonizzazione, lo Stato Francese ha mostrato la propria volontà di mantenere una continuità nelle azioni militari. Negli anni Novanta, la Francia ricevette molte critiche per la sua politica estera verso l’Africa, dovendo cambiare rapidamente linea di indirizzo. In questo periodo di fine della Guerra Fredda, ebbe inizio anche il disimpegno francese.

Dopo lo scandalo del Ruanda nel 1994, il Paese ha mostrato meno prontezza a intervenire militarmente nel continente africano. La Francia ha preferito reindirizzare la sua attenzione e assistenza alle ex Repubbliche Sovietiche. Inoltre, in quel tempo, era in corso la costruzione di una più forte e integrata Unione Europea, e la Francia non desiderava essere messa da parte dagli altri Paesi. La trasformazione della politica francese in Africa è iniziata a partire dai primi anni Novanta, indotta dalla fine della Guerra Fredda, dall’emergere di una nuova generazione di politici francesi e da una serie di sconfitte sul piano internazionale, come il sostegno al dittatore dello Zaire Mobutu. Inoltre, scandali molto pubblicizzati dai media, per esempio il traffico di armi in Angola, hanno minato la tolleranza dell’opinione pubblica verso l’impegno nazionale nell’Africa Sub-Sahariana.

I cambiamenti strutturali delle forze armate, compresa la drastica riduzione del numero e dell’ampiezza delle basi militari tra il 1997 e il 2002, dimostravano quanto la Francia non potesse più mantenere l’influenza che aveva negli anni Sessanta e Settanta.

Nel 2002, solo pochi anni dopo numerosi fallimenti nell’Africa Sub-Sahariana e un grande cambiamento nella politica estera francese verso l’Africa, nessuno si aspettava che l’amministrazione di Jacques Chirac avrebbe deciso di intervenire in Costa d’Avorio.

Dal 1995, sotto la presidenza di Jacques Chirac, l’esercito francese ha sviluppato un nuovo approccio strategico: per evitare di essere risucchiato in conflitti civili ed etnici ha accettato di far parte di missioni di «peacekeeping», come l’intervento in Costa D’Avorio del 2003, sotto l’egida di organizzazioni come l’Unione Africana e le Nazioni Unite.

Tuttavia, dalla fine degli anni Novanta, le riforme nella politica francese in Africa hanno iniziato a esaurirsi; il fallimento della mediazione francese in Costa d’Avorio ha evidenziato il costo politico ed economico della perdita dell’impulso riformista. La Francia è stata costretta, dato il rischio di essere coinvolta in un conflitto interno, a cedere il ruolo di mediatore all’ONU e ad altre organizzazioni africane, tentando, allo stesso tempo, un percorso di normalizzazione dei rapporti.

Progressivamente, la Francia ha iniziato a intervenire nuovamente in Africa, soprattutto nei Paesi in cui aveva degli interessi specifici.

Per quasi vent’anni la Francia ha cercato di disimpegnarsi dal continente africano, tuttavia ora stiamo assistendo a un rinnovato interesse e impegno, i cui simboli più evidenti sono gli interventi militari nelle ex colonie. Chiaramente, la Francia intende stringere i legami economici con i suoi alleati nell’Africa Sub-Sahariana e riaffermare i suoi interessi nella regione. Questa linea politica è abbastanza nuova e dimostra l’evoluzione della politica estera francese riguardo all’Africa. Nonostante le pretese di trasparenza di questo nuovo indirizzo, nel riferirsi al dispiegamento delle forze in Mali il Presidente Hollande aveva sostenuto che il Paese non aveva interessi commerciali e che l’operazione aveva soltanto fini altruistici, è possibile affermare che questo rinnovato interesse possa derivare anche dal fatto che la Francia trae dai rapporti con le sue ex colonie prestigio, «grandeur», trovando anche dei luoghi in cui promuovere la propria cultura e i propri valori, facendola divenire uno dei Paesi più importanti al mondo. La Nazione Francese vede nell’Africa un’occasione per riottenere lo status che aveva nel passato.

Il rinnovato interesse in Africa e gli interventi militari sono strettamente collegati; infatti, l’implementazione delle forze armate nelle ex colonie è sempre stata l’aspetto più evidente dell’interesse francese verso questa parte del mondo. Sia l’intervento sia l’interesse sono allo stesso tempo la causa e il simbolo l’uno dell’altro.

Gli interventi in Africa sono una tradizione francese da quando fu concessa l’indipendenza alle colonie; la Francia è intervenuta in questi nuovi Stati indipendenti soprattutto per ripristinare l’ordine, infatti, nel periodo post coloniale i conflitti all’interno e tra gli Stati sono stati molti, e per anni la Francia è intervenuta in modo sistematico. Negli anni Novanta, in seguito ai fallimenti e problemi riscontrati in Africa, la Francia ha perso il suo interesse per il continente. Dopo decenni di stretta collaborazione con i Paesi Africani, il Governo si rese conto che la sua politica estera non era più sostenibile; i rapporti commerciali francesi con le ex colonie erano meno importanti di quelli con gli ex membri dell’Unione Sovietica. Inoltre, i Paesi anglofoni africani stavano richiedendo importanti aiuti economici e militari alla Francia. I Paesi dell’Africa Sub-Sahariana avevano necessità di importanti investimenti per raggiungere un soddisfacente livello di sviluppo, ma la Francia non era in grado di fornirli, preferendo concentrarsi sul processo di europeizzazione in corso. Per questa ragione negli anni Novanta la Francia ha modificato la sua politica estera verso l’Africa, riducendo il numero dei dispiegamenti militari, dato che il mantenimento era troppo oneroso e non volendo perpetuare questo tipo di intervento.

Il declino dell’interventismo francese in Africa è avvenuto dopo la fine dell’Unione Sovietica. Ciò costituisce un fatto di grande importanza, perché durante la Guerra Fredda l’atteggiamento francese verso i Paesi Africani di lingua francese era accettato e apprezzato dalla comunità internazionale poiché impediva che le Nazioni Africane cadessero sotto il controllo dell’URSS. In realtà, l’interventismo francese prima degli anni Novanta è stato spesso inteso come un dato di necessità della politica di potenza della Guerra Fredda. Era obbligatorio per lo Stato Francese essere così presente negli Stati Africani al fine di tutelare non solo i propri interessi, ma anche quelli dei Paesi Occidentali. Nel periodo post Guerra Fredda, la tolleranza internazionale concessa alla Francia è stata molto più debole, inoltre, in tale epoca, le speciali relazioni della «Françafrique» erano state appena scoperte e riportate dai media alla popolazione francese che non era consapevole della loro reale natura.

Con il termine «Françafrique» si fa riferimento alla tradizionale rete di legami politici e commerciali che lega la Francia ai Paesi del Sahel, spesso collegamenti opachi e informali. Tali reti avevano periodicamente condotto i Governi Francesi a chiudere un occhio per le carenze degli Stati amici sub-sahariani, favorendo in questo modo rapporti finanziari discutibili.

Raramente trattate nei media francesi, queste reti hanno appannato la credibilità dei tradizionali legami con l’Africa agli occhi di un’opinione pubblica prevenuta, allo stesso tempo molti giovani africani sono divenuti profondamente diffidenti verso le reali motivazioni del coinvolgimento francese nel loro continente.

Il disvelamento delle caratteristiche della «Françafrique» portò all’esplodere di uno scandalo in Francia, e i cittadini francesi mostrarono scontento e riluttanza verso questo tipo di relazioni. Il Governo dovette cambiare con urgenza la sua linea politica, desiderando che lo Stato Francese fosse credibile non solo davanti alla comunità internazionale ma anche di fronte ai suoi cittadini.

Durante gli anni Novanta ci fu un serio impegno per introdurre una maggiore trasparenza e attenzione per lo sviluppo e la buona «governance» nei rapporti tra la Francia e l’Africa, approfondendo il coordinamento con i partner dell’Unione Europea. Questo progetto fu lanciato dal Primo Ministro Conservatore Alain Juppé dopo il 1995, continuato dal suo successore socialista Lionel Jospin, sotto il quale la gestione della politica africana fu gradualmente trasferita dalla Presidenza e dal Ministero della Cooperazione al Ministero degli Esteri e della Finanza. Il Governo Jospin e il suo omologo britannico laburista sono stati i principali artefici della posizione comune dell’Unione Europea sui diritti umani e la democrazia in Africa[1], che divenne la base delle condizioni di «governance» democratica nel Trattato di Cotonou del 2000 tra l’Unione Europea, l’Africa, gli Stati dei Caraibi e del Pacifico[2].

Dal momento dell’indipendenza delle colonie africane durante gli anni Sessanta, e fino alla metà degli anni Novanta, la Francia ha usato la forza in modo sistematico per fermare le turbolenze in diversi Paesi Africani. Durante questo periodo, Parigi ha lanciato ogni anno un’operazione militare su suolo africano. In molti casi, queste operazioni erano finalizzate a mantenere in carica Governi corrotti o per proteggere gli interessi francesi. Negli anni Novanta, dopo molti fallimenti disastrosi, e soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, appena vinte le elezioni l’amministrazione Chirac ha deciso di riformare la politica estera verso l’Africa, disimpegnandosi rapidamente da tutti i settori in cui la Francia era in stretto contatto con i Paesi Africani Francofoni. Furono adottate diverse misure quali la limitazione dei costi e del numero degli interventi. Inoltre, il Ministero della Cooperazione, che era stato il principale canale dei collegamenti tra Francia e Africa, fu integrato nel Ministero degli Esteri, modificando sostanzialmente il rapporto tra Parigi e i Paesi Africani. Le riforme miravano a rendere il rapporto Francia-Stati Africani più trasparente, e riabilitare l’immagine di Parigi offuscata da molti scandali, come il genocidio in Ruanda o l’«affare» Angola. Inoltre, i membri del Governo decisero che era importante cambiare la legittimazione data per le azioni francesi; infatti, i Presidenti della Quinta Repubblica predecessori di Chirac avevano utilizzato delle giustificazioni secondo le quali la Francia doveva rispettare gli accordi di cooperazione nell’ambito della difesa e proteggere i cittadini francesi su suolo africano. Dopo il cambiamento della politica estera verso l’Africa, queste motivazioni erano state giudicate non politicamente accettabili. Tuttavia, i detrattori sostengono che l’amministrazione francese usi il salvataggio dei civili e le azioni di mantenimento della pace come alibi per intervenire nell’Africa Occidentale al fine di preservare i propri interessi.

Un tema chiave della campagna elettorale di Nicolas Sarkozy nel 2007 è stata la rottura con la politica del passato, evidenziando che, dopo la fine del colonialismo e dopo 40 anni di forte influenza sull’Africa indipendente, la politica francese non sarebbe più stata determinata da collegamenti opachi e informali operanti per decenni e riassumibili nel termine «Françafrique». Tuttavia, è possibile notare come Sarkozy abbia inviato messaggi contrastanti in Africa. Un’importante riforma delle relazioni bilaterali fu illustrata in un discorso a Città del Capo nel 2008, ma a questo punto la sua politica verso l’Africa era già stata modellata dalle visite nel continente africano del luglio 2007. Queste avevano segnalato la continuità più che il cambiamento, poiché tutte le destinazioni erano antichi alleati francofoni: Algeria e Tunisia dal 10 al 12 luglio; Senegal e Gabon dal 26 al 27 luglio.

Il discorso di Sarkozy a Dakar era incentrato prevalentemente sulla storia e la cultura, non riuscendo a delineare una visione precisa per l’impegno francese nell’Africa Sub-Sahariana, in contrasto con le visite effettuate nel Maghreb che avevano una strategia più chiara, avendo come fine la promozione di una sorta di «unione mediterranea», già evidenziata nel discorso inaugurale del maggio 2007.

Nel suo discorso di Città del Capo del 2008, Sarkozy espose delle proposte per cambiare la politica del suo Paese verso l’Africa: il dialogo con gli Stati Africani per adattare i vecchi accordi di cooperazione, ricreando le relazioni bilaterali basandole sul principio di trasparenza, usando la presenza militare francese per aiutare gli Africani a costruire un sistema collettivo di sicurezza, e rendendo l’Europa un importante partner per gli Stati Africani in materia di pace e stabilità[3].

Sarkozy non aveva una profonda conoscenza dell’Africa, a differenza del suo predecessore Chirac; infatti, prima dell’elezione, il suo fine principale era introdurre un sistema di immigrazione selettivo, rispondente alle esigenze del mercato del lavoro francese. A causa della forte immigrazione proveniente dal Nord Africa, Sarkozy ha cercato di bilanciare, nella sua azione politica, vecchi e nuovi approcci nei confronti dell’Africa. Durante la sua presidenza, l’agenda politica è stata incentrata sulla riduzione dell’immigrazione, spinto in ciò anche dal desiderio di riconquistare il sostegno degli elettori tentati dal partito di estrema destra Front National.

È interessante notare come Sarkozy abbia tentato di perseguire questi obiettivi anche attraverso organizzazioni come l’ONU e l’Unione Europea, dando così alla Francia un ruolo importante nell’ambito della sicurezza del continente africano, nonostante la riduzione della presenza militare. La Francia ha ampliato la sua economia verso partner commerciali non identificabili con i classici Paesi francofoni, raggiungendo le più grandi economie sub-sahariane, come Nigeria e Sud Africa.

I reali limiti della capacità della Francia di esercitare una seria influenza sulla scena internazionale furono apertamente riconosciuti da Nicolas Sarkozy il giorno stesso della sua elezione alla presidenza nel 2007, allorquando indicò nell’Europa, nel Medio Oriente e nell’Africa le arene diplomatiche su cui avrebbe focalizzato la sua attenzione durante il mandato presidenziale.

Sarkozy aveva tentato una revisione delle spesso claustrofobiche alleanze tra i regimi africani, alcuni personaggi politici e il Governo Francese.

Quando Sarkozy è divenuto Presidente nel 2007 il suo intento era «normalizzare» progressivamente la politica francese verso l’Africa e la gestione dei rapporti con questo continente. Come Ministro degli Interni nel maggio del 2006, preparando il terreno per la sua campagna elettorale dell’anno seguente, scelse di visitare due democrazie africane, il Benin e il Mali. A Cotonou, in Benin, nel suo discorso chiese collaborazione e la fine della «Françafrique». Tuttavia, una volta divenuto Presidente, l’impatto di tale nuovo modo di pensare fu offuscato dalla preoccupazione per il controllo dell’immigrazione. In entrambe le capitali, del Benin e del Mali, fu accolto da manifestanti che protestavano contro un disegno di legge che imponeva delle restrizioni all’emigrazione non qualificata in Francia.

Dopo l’elezione, i primi accenni di una modalità di linguaggio riformista sono stati compromessi dall’impatto negativo del discorso tenuto a Dakar nel luglio del 2007[4]. Sarkozy dichiarò che il colonialismo era sbagliato, tuttavia il continente africano non aveva lasciato il suo segno nella storia.

Nel formare il suo Governo, il Presidente aveva tentato di disinnescare la sfida politica interna, rappresentata dal Front National, attraverso la definizione di un Ministero separato per regolare l’immigrazione.

Nonostante alcuni primi gesti verso i leader democratici dell’Africa Occidentale, Sarkozy non ha mai veramente superato l’impressione negativa lasciata dopo questi passi falsi. Inoltre, non hanno giovato i rapporti con partner africani la cui «governance» era contraddistinta dal mancato rispetto dei diritti umani, come il regime Bondo in Gabon e Idriss Déby, Presidente del Ciad. Il Ministro della Cooperazione Bockel, che aveva delle aspirazioni modernizzanti, fu sostituito da Alain Joyandet, la cui priorità era la promozione del commercio francese.

Parlando a Città del Capo nel 2008, Sarkozy stabilì una nuova dottrina più limitata in tema di sicurezza per quanto concerneva l’Africa Occidentale, rinegoziando gli accordi di difesa che avevano permesso precedentemente ai regimi africani di richiedere alla Francia un sostegno militare, mostrando, allo stesso tempo, poco interesse per i temi legati allo sviluppo.

Una caratteristica della Presidenza Sarkozy è stata la concentrazione della leadership politica estera nell’Eliseo, particolarmente evidente per quanto concerneva l’Africa. Ciò ha prodotto dei risultati positivi: l’impegno personale di Sarkozy è stato la chiave per ristabilire un ragionevole rapporto con il Presidente del Ruanda Paul Kagame, dopo la rottura delle relazioni tra i due Paesi. È importante notare che tale prassi politica e diplomatica ha emarginato il Ministero degli Esteri; infatti, a Bernard Kouchner – un socialista come Bockel, reclutato in un tentativo di inclusione trasversale – mancava una base politica personale in un Governo dominato dal partito conservatore di Sarkozy, l’UMP. Inoltre, la gestione degli affari africani presso l’Eliseo è stata condivisa tra diplomatici di professione, come Bruno Joubert e Robert Bourgi, consulente informale di Sarkozy. Anche Claude Guéant, Segretario Generale della Presidenza e in seguito Ministro degli Interni, preoccupato per i temi legati alla sicurezza e all’immigrazione, ha svolto un ruolo molto influente.

Durante gli ultimi mesi della Presidenza Sarkozy, vi è stato un cambiamento notevole di influenza del Ministero degli Esteri, infatti, dopo le improvvise dimissioni del successore di Kouchner, Michèle Alliot-Marie, nel corso di contatti con il deposto regime di Ben Ali in Tunisia, Sarkozy nominò un ex premier, Alain Juppé, come Ministro degli Esteri. Attraverso una posizione di chiara forza politica, Juppé riaffermò il ruolo del suo Ministero. Contemporaneamente, Joyandet fu sostituito da Henri de Raincourt, molto attento ai temi dello sviluppo.

È importante evidenziare che la Francia dovette confrontarsi anche con un mutato scenario internazionale. Uno degli sviluppi più significativi della politica internazionale in Africa negli anni Duemila è stato il maggiore impegno delle potenze emergenti, un processo iniziato dalla Cina. In base alla necessità di risorse naturali e di nuovi mercati, le relazioni sino-africane sono cresciute esponenzialmente nell’ultimo decennio e, secondo i media statali cinesi, il commercio tra l’Africa e la Cina ammontava a 200 milioni di dollari nel 2012[5].

La Cina è diventata il principale partner commerciale dell’Africa e, al contempo, altre potenze emergenti, quali l’India, il Brasile e la Turchia, hanno ridimensionato la loro presenza diplomatica ed economica in Europa per accrescerla nel continente africano[6].

Per esempio, l’India ha aumentato in modo significativo i propri impegni in Africa, necessitando di sicurezza energetica, opportunità di commercio e di un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite[7].

Per quanto concerne il Brasile, sotto la guida del Presidente Lula, il settore privato si è gradualmente spostato verso l’Africa Lusitana, mentre la Turchia, sorretta da un’economia dinamica, ha ampliato le reti commerciali[8].

Questo fenomeno ha assunto una notevole importanza per le Potenze Occidentali; Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna sono state tradizionalmente rivali in Africa, perseguendo obiettivi contrapposti. Tuttavia, dato che condividevano alcuni interessi in un quadro di sicurezza collettiva, sono state in grado di seguire regole e obiettivi comuni per quanto riguardava la stabilità e gli aiuti.

Dopo decenni in cui l’Africa francofona è stata considerata una sfera di esclusiva influenza francese, vi è stato un crescente riconoscimento dell’impatto delle potenze emergenti in quell’area e nell’Africa Sub-Sahariana più in generale. Nel 2006 un rapporto della Commissione degli Esteri e della Difesa del Senato Francese osservava che dal 2000 vi era stato un rinnovato impegno internazionale in Africa, in particolare da parte degli Stati Uniti, della Cina e dell’India, e che il ruolo della Francia doveva cambiare.

Tutti i partner occidentali tradizionali dell’Africa si sono trovati di fronte alla sfida presentata dal nuovo impegno africano della Cina e delle altre potenze emergenti. Tuttavia, la Francia ha dovuto confrontarsi anche con la crescente importanza politica ed economica degli Stati Africani anglofoni rispetto al minore peso economico di quelli francofoni. Dagli anni Novanta, l’impegno diplomatico francese ha cercato di raggiungere le potenze emergenti, la cui economia destava molto interesse negli ambienti del commercio e delle imprese. Il Ministero degli Esteri identificò quattro Stati come prioritari in Africa, nessuno di questi era francofono: Sud Africa, Niger, Angola ed Etiopia. L’ambito degli aiuti ha seguito lo stesso modello: mentre in origine era incentrato sulle ex colonie francesi, dal 1998, con la designazione di una «Zone de solidarité prioritaire», l’attenzione è stata focalizzata verso Paesi come Sud Africa, Nigeria, Ghana, Etiopia e Kenya.

I politici francesi non hanno sviluppato delle specifiche strategie in risposta alla crescente presenza delle potenze emergenti in Africa, tuttavia la comunicazione ufficiale ha considerato positivamente questo fenomeno, ritenendolo molto incoraggiante per il continente e per la stessa Francia. Si riteneva che la crescita economica dell’Africa, spinta dai Paesi emergenti e dalla domanda di risorse naturali, avrebbe favorito anche gli interessi economici francesi.

L’Africa ha bisogno di massicci investimenti esteri, in particolare nel settore delle infrastrutture, in cui i Paesi emergenti possono dare un contributo importante. Ciò è significativo in un contesto in cui i Paesi Occidentali, usualmente presenti in Africa, come la Francia, non hanno più la capacità o la volontà di occuparsi da soli dei problemi di sottosviluppo degli Stati Africani.

Eppure, dietro il discorso ufficiale positivo si potevano distinguere una serie di preoccupazioni. Il crescente interesse delle potenze emergenti in Africa colpiva le attività francesi in modi diversi, provocando reazioni distinte nei settori coinvolti. Significativamente, la Francia ha prestato più attenzione alla Cina, mentre le altre potenze emergenti, come Brasile e India, hanno avuto un ruolo secondario, riflettendo il peso economico degli interessi commerciali nella politica francese, in particolare nell’ambito del petrolio e delle infrastrutture, in cui la Francia ha iniziato a percepire chiaramente, dalla metà degli anni Duemila, la concorrenza cinese.

Dato il nuovo contesto economico internazionale, Parigi ha privilegiato il multilateralismo per le sue azioni sul continente africano, non dispiegando più sistematicamente le forze armate. Allo stesso tempo, i funzionari francesi hanno voluto cancellare l’immagine della Francia come «gendarme dell’Africa», cercando anche di ridurre i costi finanziari degli interventi militari.

È interessante osservare come i diplomatici francesi fossero preoccupati dalla crescente presenza di potenze emergenti in Africa, dato che ciò metteva in pericolo le relazioni politiche ed economiche privilegiate tra la Francia e le sue ex colonie.

Dopo l’indipendenza, la Francia è sempre stata in grado di contare sul loro supporto in qualsiasi discussione a livello internazionale; infatti, tradizionalmente tra i 15 e i 20 Paesi Africani votavano con la Francia nei principali dibattiti alle Nazioni Unite, ma i diplomatici erano perplessi riguardo a questo sostegno, temendo una sua progressiva erosione, in parte a causa del coinvolgimento di nuovi interlocutori internazionali.

Le recenti discussioni internazionali hanno confermato questa tendenza. Sulla Costa d’Avorio, la Francia ha lottato per ottenere l’appoggio del Benin. Sulla Libia, Paesi come il Niger, il Burkina-Faso e la Mauritania hanno temporeggiato prima di riconoscere ufficialmente il Consiglio Nazionale di Transizione, nonostante la pesante pressione francese.

Il crescente interesse per l’Africa delle potenze emergenti ha creato nuove dinamiche nelle arene politiche internazionali. Questo è stato particolarmente evidente nel biennio 2011-2012, quando tutti i BRICS erano membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Solitamente, la Francia e l’Inghilterra prendevano l’iniziativa per discutere di temi africani ed erano coinvolti come attori principali nella redazione della maggior parte delle risoluzioni. Questa leadership è stata depotenziata quando le potenze emergenti hanno acquisito sempre più peso nelle discussioni, imponendo alle controparti di imparare a confrontarsi con nuovi attori internazionali. Paradossalmente, Cina e Russia hanno dimostrato di essere sensibili ai temi riguardanti i diritti umani, la democrazia e l’intervento militare, godendo del vantaggio del diritto di veto e vincolando, di conseguenza, Francia, Inghilterra e Stati Uniti soprattutto nella formulazione delle risoluzioni. Tuttavia, vi è un terreno per la cooperazione: la Francia e la Cina condividono la preoccupazione per la stabilità dell’Africa, e la Cina ha collaborato in alcune occasioni con la Francia in questo ambito. Un esempio è stato in Sudan, dove grazie ai rapporti privilegiati con il regime di Omar al-Bashir, la Cina è stata determinante nel far accettare il dispiegamento della missione delle Nazioni Unite in Darfur. La Cina si è comportata come anello di collegamento tra il Sudan e la comunità internazionale; la Francia ha scoperto che in questo caso la sua posizione sul Sudan era più vicina a quella cinese rispetto a quella inglese, maggiormente critica.

La formazione di un asse BRICS nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che può opporsi sistematicamente alla Francia, al Regno Unito e agli Stati Uniti, in particolare sulle questioni africane, è diventata una delle maggiori preoccupazioni per i diplomatici francesi.

Le crisi in Costa d’Avorio e in Libia nel 2011 sono state rivelatrici: i dibattiti nel Consiglio di Sicurezza tra i BRICS, la Francia, gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno dimostrato una chiara situazione di stallo sull’uso della forza, sulla sovranità territoriale e sulle modalità di protezione delle popolazioni locali. I diplomatici francesi temevano che i BRICS potessero trasformarsi in un gruppo politicizzato e istituzionalizzato in grado di parlare con una sola voce. In particolare, l’ingresso del Sud Africa nel gruppo dei BRICS è stato un evento significativo per il crearsi di una nuova dimensione politica. Nonostante i timori della diplomazia francese, questo gruppo non è stato in grado finora di formulare delle posizioni ufficiali comuni. Sulla Libia e sulla Costa d’Avorio nessuno dei BRICS si è opposto alle risoluzioni, appoggiate dagli Stati Occidentali, che hanno aperto la strada all’intervento militare. Ciò ha mostrato la mancanza di coerenza e le differenze interne ai BRICS, tuttavia il gruppo offre un’ampia visione alternativa dell’ordine globale e dei principi che dovrebbero guidarlo. A questo proposito, è importante osservare come una medesima ideologia antimperialista e antioccidentale aiuti i BRICS a sorvolare sulle loro differenze interne e a consolidarsi come fronte comune contro i poteri costituiti.

La Francia ha pubblicamente appoggiato l’allargamento del Consiglio di Sicurezza sulla base del fatto che esso avrebbe dovuto riflettere i cambiamenti nell’equilibrio globale del potere. Ma in privato, alcuni diplomatici francesi hanno espresso il timore che l’attribuzione di seggi permanenti al Brasile, al Sud Africa e all’India non sarebbe nell’interesse francese.

Come accennato in precedenza, le relazioni della Francia con le sue ex colonie hanno subito un allentamento negli ultimi decenni, poiché i Paesi Africani hanno adesso maggiori interlocutori, che forniscono loro spazi di manovra diversificati e molteplici in ambito politico e commerciale.

Le autorità francesi hanno cercato di stabilire un dialogo sull’Africa con le potenze emergenti, in particolare con la Cina nell’ambito degli aiuti e dei partenariati commerciali. Questa linea politica ha avuto dei discreti successi durante la Presidenza Sarkozy ed è continuata con Hollande.

Sotto Hollande, il Ministero degli Affari Esteri ha recuperato un ruolo importante nel plasmare l’approccio della Francia nei rapporti con gli Stati Africani, invece che essere un semplice attuatore della politica decisa dall’Eliseo. Questo ha ridato un ruolo significativo ai diplomatici professionisti che si occupavano di Africa; infatti, la tendenza è stata rafforzata dalla scelta come Ministro degli Esteri di Laurent Fabius, influente esponente del Partito Socialista al Governo. Tuttavia, è importante rilevare che sarebbe un’esagerazione affermare che il Ministero degli Esteri conduceva indipendentemente una nuova politica verso l’Africa, infatti, secondo la Costituzione francese, è il Presidente il responsabile della politica estera.

Il nuovo tono istituzionale impostato tramite il discorso di Dakar e la visita a Kinshasa erano modellati dall’Eliseo; Hollande si era consultato direttamente con degli esperti esterni prima di fare il viaggio, inoltre ha gestito la crisi del Mali consigliato da un ristretto cerchio di colleghi, in particolare dal capo del suo staff personale militare, il Generale Benoît Puga, veterano degli interventi in Africa. Un ruolo chiave per l’azione francese in Mali è stato svolto anche dal Ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian, uno dei confidenti politici più vicini a Hollande.

Il cambiamento istituzionale ha interessato più una gestione maggiormente formalizzata delle relazioni con l’Africa che uno spostamento dell’equilibrio del controllo della politica verso l’Africa; infatti, come i suoi predecessori, Hollande ha mantenuto all’Eliseo una Unità di consulenza, denominata «Africaine cellule», guidata da Hélène Le Gal, la cui carriera si è svolta soprattutto negli Stati Africani anglofoni.

Inoltre, il funzionamento dell’Unità e del Dipartimento dell’Africa, presso il Ministero degli Esteri, è divenuto più formale; i funzionari dovevano gestire la maggior parte del lavoro, ma Hollande e i suoi Ministri si impegnavano direttamente con le controparti africane. I funzionari sono stati incaricati di rispettare le formalità e un uso ufficiale dei canali di comunicazione in modo che i Capi di Governo Africani si sentissero trattati con lo stesso rispetto degli altri Capi di Stato. Inoltre, agli attori tradizionali delle vecchie reti facenti riferimento alla «Françafrique» è stato negato l’accesso all’Eliseo.

È quindi legittimo chiedersi perché la Francia ha deciso di intervenire due volte in meno di un anno in conflitti di lunga durata e dal costo esponenziale.

Dal punto di vista della politica internazionale, gli interventi francesi sono avvenuti durante un periodo in cui gli Stati Uniti mostravano un declino della loro volontà di intervento; naturalmente, Parigi è una potenza di media grandezza che non può competere con una potenza mondiale come quella americana, tuttavia ha avuto la possibilità di riaffermare il suo potere in Africa. In effetti, gli Stati Uniti avevano dimostrato una certa riluttanza a prendere l’iniziativa in alcuni interventi militari, come in Siria e in Libia, lasciando libertà di azione alla Francia e all’Inghilterra. Parigi colse l’opportunità di intervenire sapendo che ciò sarebbe stato utile per il consolidamento dei suoi legami con gli Stati Africani.

L’uso delle forze armate potrebbe significare per la Francia un parziale ripristino della sua posizione sulla scena internazionale; come ex Impero, Parigi ha incontrato svariate difficoltà, quindi l’intervento è attuato laddove questo ha sicuramente successo, vale a dire in Africa.

Per decenni l’Africa ha conosciuto moltissime problematicità, come l’estrema povertà della popolazione, la corruzione, l’instabilità politica, i disordini civili, la disoccupazione e le carestie. In questa epoca, si assiste a un’importante crescita economica in diversi Paesi Africani. L’Africa è il continente che possiede la più grande quantità di risorse naturali, come il petrolio, l’uranio, l’oro, il rame e i diamanti, ma è anche il più povero in termini di infrastrutture e «know how». Tuttavia, vi è una reale opportunità per queste Nazioni che sperimentano una forte crescita economica, anche per gli investimenti di Cina, India e di altri Paesi emergenti.

La quota francese del commercio africano è passata da un 10% a un 4,7% in 10 anni quando Stati come la Cina e la Malesia hanno raddoppiato i loro scambi commerciali con questo continente. Il Ministro delle Finanze Francese, Pierre Moscovici, aveva dichiarato nel 2014 che il suo obiettivo era quello di raddoppiare il flusso commerciale tra la Francia e l’Africa. Il 4 dicembre del 2014, Moscovici aveva pubblicato un rapporto, Africa-Francia: un partenariato per il futuro. In questo report, Hubert Védrine, specialista dell’Africa, suggeriva 15 proposte per creare una nuova dinamica per quanto concerneva l’ambito economico tra Africa e Francia. Due di questi suggerimenti erano dedicati al rafforzamento dell’influenza e della presenza economica francesi nell’Africa Sub-Sahariana. Per anni, l’Africa è stata il «pré-carré» dell’ex Impero, anche se nel periodo post coloniale la presenza economica e gli aiuti francesi allo sviluppo decrebbero molto. La normalizzazione delle relazioni con i Paesi Africani negli anni Novanta avrebbe potuto avere luogo perché, secondo Védrine, Parigi sarebbe stata impegnata nel contesto europeo. La situazione francese era diversa, in realtà, il Paese affrontava delle difficoltà non solo a livello europeo ma anche interno; la Francia non era più uno Stato potente, non avendo più il potere di influenzare le decisioni prese dall’Unione Europea. Così, quando la Francia ha realizzato che nel continente africano era in corso un processo di sviluppo ha deciso di consolidare i suoi legami, e di riottenere quell’influenza avuta in passato sulla scena internazionale. Dato che la Cina e l’India erano già divenuti i più importanti partner economici dei Paesi Africani, Parigi ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per consolidare i suoi legami con le ex colonie.

Dal punto di vista culturale, la Francia non sarebbe tale senza la sua cultura, i suoi valori e il suo prestigio, una Nazione particolarmente fiera di quello che è, e di ciò che rappresenta all’estero. L’importanza di questi tre elementi è essenziale per definire ciò che la Francia è. È interessante, quindi, analizzare qual è il posto concesso all’Africa in Francia e perché questo continente sembra essere così importante. Si possono trovare delle risposte nelle citazioni di due Presidenti Francesi della Quinta Repubblica. La prima di François Mitterrand, che dichiarò che «senza l’Africa, non ci sarà una storia francese nel XXI secolo»[9]. La seconda del Generale De Gaulle, che sosteneva che «il potere del mondo francese e il potere francese in Africa sono indissolubilmente legati e reciprocamente confermati»[10]. Entrambe queste frasi esprimono l’importanza che l’Africa ha per Parigi. Ovviamente, questo continente ha un impatto importante sul ruolo che la Francia ha nel mondo attraverso i suoi valori, la sua cultura e il suo prestigio.

La Nazione Francese è estremamente orgogliosa della sua tradizione di salvare i civili all’estero. Il Paese è uno Stato liberale con più di 200 anni di storia e si considera lo Stato dei diritti umani. L’attaccamento a questi valori è profondamente ancorato nella cultura francese, infatti, la Francia dà una grande importanza alla promozione dei valori e principi filantropici. Ciò nonostante, Parigi ha a disposizione soltanto il continente africano per favorire e promuovere questi principi e valori, che sono strettamente collegati alle speranze francesi di prestigio. La Francia non può lasciare i Paesi Africani in difficoltà, dato che è stata una potenza coloniale, la cui caratteristica paternalistica è ancora presente. Durante il periodo della decolonizzazione, Parigi ha sentito il dovere di proteggere le popolazioni nelle sue colonie, e in un certa misura la Francia crede ancora che sia suo dovere agire, anche se il periodo coloniale è finito da più di 50 anni.

Per la Francia la sua cultura e la sua lingua sono veramente due fattori importanti, che devono essere promossi con tutti i mezzi possibili. Quando il Paese colonizzò l’Africa, impose la sua cultura, la sua religione, e il suo linguaggio. La lingua francese è ancora parlata in molte parti del continente africano, e si stima che, grazie alla costante crescita della popolazione, la maggior parte della popolazione sarà in grado di parlarla negli anni a venire. Il desiderio di promuovere la lingua francese è ben dimostrato dall’esistenza di un Ministero dedicato ai Paesi francofoni nel mondo, che ha come scopo il migliorare la cooperazione tra i Capi di Stato francofoni. Ogni anno, una parte importante del bilancio, 600 milioni di euro, è dedicata a finanziare istituti culturali e di istruzione, ma anche borse di studio per studenti africani. Il Ministero dei Paesi francofoni è anche responsabile per 500 organizzazioni in tutto il mondo che si occupano della promozione della lingua e della cultura francesi.

Durante la colonizzazione, ma anche decenni dopo l’indipendenza degli Stati Africani, la Francia ha promosso la sua cultura e la sua lingua. Nel momento in cui le ex colonie stanno avendo una buona crescita economica e molte opportunità di sviluppo, Parigi non vuole perdere la sua influenza su di loro. La cultura e la lingua francesi sono aspetti importanti del «soft power» di Parigi. La cultura è un modo efficiente per ottenere l’attenzione e l’attrazione da parte di altri Paesi e delle loro popolazioni, e quindi ottenere più prestigio e influenza sul mondo.

Il prestigio e la «grandeur» sono da sempre mete perseguite dalla Nazione Francese. E. H. Carr ha descritto il prestigio come «il riconoscimento da parte di altre persone della tua forza. Il prestigio, di cui alcune persone si fanno beffe, è di enorme importanza: perché se la vostra forza è riconosciuta, potete ragionevolmente raggiungere i vostri obiettivi, senza doverla utilizzare»[11]. La nozione di prestigio è primordiale e dominante, un aspetto importante dell’identità francese. Per molto tempo, l’Africa ne è stata la dimostrazione, parte integrante del prestigio francese. Dopo il periodo di occupazione della Francia durante la Seconda Guerra Mondiale, la «grandeur» francese aveva necessità di essere restaurata, ed è stata la missione personale del Generale De Gaulle. Egli concepiva la Francia in un certo modo e non poteva immaginare una Francia che non fosse grande. La missione speciale che Parigi aveva in Africa era portare la «grandeur» al Paese. Anche se l’inizio del processo di decolonizzazione ha significato una perdita di potere per la Francia, essa ha dimostrato la capacità dei Francesi di esercitare il potere senza responsabilità giuridica. Dopo il grande cambiamento della politica estera francese negli anni Novanta, la Francia ha cercato di focalizzare la propria attenzione sull’Unione Europea, con la speranza di divenirne l’attore più potente. I problemi economici e finanziari affrontati dal Paese hanno portato invece la Germania ad assumerne la leadership; infatti, l’equilibrio del potere ha cominciato a spostarsi con la riunificazione tedesca e dopo il terremoto finanziario del 2008 che ha provocato una crisi economica rovinosa in tutto il continente. In pochi decenni la Francia ha perso molto del suo prestigio e del suo status sulla scena internazionale, in particolare negli anni Novanta.

Questo è uno dei motivi per cui la Francia ha colto l’opportunità di intervenire in due delle sue ex colonie quando ha osservato che gli Stati Uniti erano riluttanti ad agire. La comunità internazionale era consapevole di ciò che doveva fare per fermare le uccisioni, sia in Mali sia nella Repubblica Centrafricana, ma nessuno in realtà voleva essere coinvolto in queste due crisi. L’Unione Africana e i suoi membri non possedevano le risorse necessarie per organizzare tali operazioni in modo così rapido come ha fatto Parigi. Nonostante le difficoltà della Francia sulla scena internazionale, il Paese è stato in grado di organizzare rapidamente le due missioni e distribuire le sue truppe sul territorio. Parigi ha riconosciuto in questi due interventi militari un modo per riottenere il potere, il prestigio e la «grandeur». In realtà, avere la leadership delle due operazioni ha consentito alla Francia di raccogliere fondi dai Paesi Occidentali per aiutare gli Stati Africani in crisi, ma anche per organizzare nel dicembre del 2013 a Parigi un vertice per la pace e la sicurezza in Africa con la presenza di più di 50 Capi di Stato Africani.

La Francia non avrebbe potuto ottenere lo stesso riconoscimento che ha avuto essendo una potenza coloniale all’interno dell’Unione Europea, tuttavia, Parigi non ha mai abbandonato l’idea di detenere una posizione di preminenza e rappresentare una forza importante all’interno della comunità delle Nazioni, di conseguenza, i Presidenti Socialisti e Conservatori della Quinta Repubblica hanno concordato sulla necessità di avere una Francia che contasse nel mondo, infatti, le diverse politiche estere seguite hanno sempre tenuto conto di tale obiettivo. Tuttavia, al di fuori dell’Africa, Parigi non ha mai avuto una grande influenza; in Asia, per esempio, la Francia non sarebbe in grado di guidare e attuare lo stesso tipo di operazioni, anche se ha delle ex colonie in quel continente. È ipotizzabile che l’unica opzione praticabile per la Francia per riottenere l’influenza e il potere posseduti in precedenza sia l’Africa; è importante ricordare che il Governo Francese aveva molti contatti derivanti dagli accordi firmati negli anni Sessanta, inoltre, le ex colonie e la Francia condividono una storia e una lingua comuni.

Gli interventi umanitari sono sempre stati controversi. Alcuni studiosi sostengono che in nessun caso uno Stato dovrebbe interferire negli affari di un altro Stato sotto il pretesto di proteggerne la popolazione. Altri argomentano che è un dovere per le Nazioni liberali usare la forza per fermare le violazioni dei diritti umani. È per questo che François Hollande e il suo Governo hanno sottolineato la legittimazione dell’azione militare in Mali dal momento dell’annuncio della partecipazione francese al conflitto in corso[12].

Dall’inizio della missione, i decisori francesi hanno insistito sul fatto che l’obiettivo finale dell’Operazione Serval fosse quello di preparare il dispiegamento del contingente africano per consentire al Mali il recupero della propria integrità territoriale, in conformità alla decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’Operazione era finalizzata a organizzare delle elezioni presidenziali democratiche nel Paese Africano. Il Governo Francese ha continuato a ripetere quali erano gli obiettivi dell’Operazione Serval, evidenziando la temporaneità della presenza militare francese nel territorio del Mali, a differenza dell’intervento in Ciad che non è ancora finito dopo oltre 25 anni. Queste dichiarazioni sono state enunciate per evitare qualsiasi critica sulla presunta volontà della Francia di voler occupare nuovamente la ex colonia. Inoltre, Parigi voleva dimostrare alla comunità internazionale che vi era un’aderenza totale alla nuova politica iniziata a metà degli anni Novanta.

Come accennato poco sopra, gli interventi stranieri che hanno l’obiettivo di salvare dei civili sono oggetto di controversie. Per evitare qualsiasi polemica, la Francia ha preso la decisione di chiarire immediatamente il dispiegamento delle forze militari in Mali nel discorso del Presidente enunciando tre argomenti. La prima motivazione per cui la Francia interveniva in Mali era la volontà di proteggere la popolazione del Paese Africano. In secondo luogo, Hollande ha ricordato come il Mali fosse un amico di lunga data della Francia, infine, il dispiegamento delle truppe era completamente legale. Parigi ha smentito con fermezza che l’Operazione Serval sarebbe stata qualcosa di diverso da quanto affermato: una missione finalizzata all’assistenza a un Paese in difficoltà. Il Capo dello Stato ha dichiarato che «non si tratta della conquista di un territorio o di aumentare la nostra influenza, o servire qualche forma di commercio o di interesse economico. Quell’era è finita»[13]. Inoltre, diversi membri del Governo hanno regolarmente ripetuto ai media che l’intervento era prettamente altruista, non basato sugli interessi della Francia. L’insistenza delle autorità francesi nel rivendicare la legittimità del loro agire era legata al timore di vedere la missione in Mali associata al comportamento tenuto durante i precedenti interventi in Africa, fonte di molti problemi per il Paese.

Come affermato dal Presidente Hollande nel suo discorso dell’11 gennaio del 2013, il Mali è uno Stato amico e mantiene particolari legami con la Francia sin dalla sua indipendenza nel 1960. Hollande sottolineò che durante la Prima Guerra Mondiale il Mali aveva inviato delle truppe in trincea per sostenere l’esercito francese e nella Seconda Guerra Mondiale il Paese dell’Africa Occidentale aveva aiutato la Francia a liberarsi dall’occupazione tedesca. L’ex colonia era stata un fedele alleato che aveva sempre sostenuto e aiutato la Francia.

Parigi ha continuato ad avere un atteggiamento paternalistico con le sue ex colonie, come se fossero ancora sotto la sua protezione, ritenendo parte integrante della sua missione aiutare gli Stati Africani francofoni a risolvere i loro conflitti. È importante sottolineare che questo comportamento è del tutto accettato dalle ex colonie. In effetti, l’intervento francese non solo è stato invocato direttamente dal Mali, ma anche da numerose Nazioni Africane francofone, in particolare dagli Stati vicini preoccupati dalle possibili ripercussioni del conflitto nei propri confini. Non solo il Mali, ma la maggior parte delle ex colonie africane ha mantenuto dei collegamenti molto stretti con la Francia. Il rapporto tra Parigi e l’Africa non si basa soltanto sulla cooperazione militare, come si potrebbe pensare; infatti, la Francia ha con molti Paesi Africani accordi in diversi settori, che sono il simbolo dell’importante coinvolgimento francese negli affari africani.

Un altro fatto da tenere in considerazione è che in Francia risiede una popolazione africana numericamente rilevante. Prima dell’annuncio del Presidente relativo all’intervento in Mali, molti Maliani avevano protestato chiedendo al Governo Francese di fermare la violenza. Le popolazioni africane, nonché i cittadini francesi, si sono abituati a vedere la Francia nel ruolo del gendarme, aspettandosi che Parigi agisca avendo un dovere verso questo continente. Le popolazioni africane hanno giudicato la missione in Mali come un’azione normale da parte della Francia, portando ancora più legittimità all’intervento del Governo Francese.

Nel complesso, la popolazione francese ha supportato la missione, dato che mirava a salvare delle vite umane. I Francesi danno una grande importanza ai valori, ai principi e alla tradizione del rispetto dei diritti umani. Il Governo ne era consapevole, infatti, ogni volta che vi è stato un intervento militare all’estero, il Presidente ha guadagnato in popolarità. La popolazione ritiene l’intervento in queste circostanze una giusta causa che potrebbe contribuire anche alla «grandeur» della Nazione, un elemento non secondario dell’immaginario collettivo francese.

Per tutte queste ragioni, la Francia non poteva e non voleva rifiutare di aiutare il Mali, sarebbe stato un segnale troppo negativo inviato all’Africa Sub-Sahariana, che avrebbe segnato la fine di una lunga collaborazione, il più grande timore della Francia. In effetti, la Nazione Francese, ma anche i Paesi Africani, sono bloccati da un vincolo di dipendenza che è difficile spezzare. È ipotizzabile che sarebbe stato meglio per il Mali e per la Francia che l’Unione Africana con le sue truppe prendesse l’iniziativa della missione Serval per stabilizzare il Paese, ma le ex colonie volevano veramente il coinvolgimento di Parigi. Il continente africano ha ancora bisogno della Francia ma anche la Francia ha ancora bisogno dell’Africa, per motivi economici e politici.

Il Ministro degli Esteri Francese, Laurent Fabius, diede tre spiegazioni in merito alla legittimità dell’azione nell’Africa Occidentale. In primo luogo, ha ricordato che il Presidente del Mali, Dioncounda Traoré, aveva chiesto l’aiuto della Francia al fine di fermare gli islamisti nella loro marcia verso le città del Mali Meridionale e verso la capitale, Bamako. In secondo luogo, Fabius ha evidenziato la conformità dell’intervento all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che afferma «che nessuna disposizione del presente statuto pregiudica la legittima difesa individuale o collettiva, nel caso di un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fino a quando il Consiglio di Sicurezza non ha adottato le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure adottate dai membri nell’esercizio del loro diritto alla legittima difesa devono essere immediatamente riferite al Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in nessun modo l’autorità e la responsabilità del Consiglio di prendere qualsiasi iniziativa ritenuta necessaria per mantenere o ristabilire la pace internazionale»[14].

Il Consiglio di Sicurezza aveva approvato le mozioni francesi e il dispiegamento militare come menzionato nella risoluzione 2085[15]. Questa decisione è stata accettata da tutta la comunità internazionale con l’eccezione dell’Algeria che ha mostrato, agli inizi dell’operazione, i suoi dubbi sul successo della stessa.

I funzionari francesi hanno insistito molto su questi tre punti, ricordando la legittimità dell’azione in ogni dichiarazione sul conflitto in Mali. Questo fatto era abbastanza nuovo per la Francia, che solitamente interveniva in Africa senza il consenso della comunità internazionale. L’amministrazione Chirac attuò una riforma che mirava a rispettare le decisioni delle Nazioni Unite per quanto riguardava gli interventi militari, ma tale regola non è stata sempre rispettata, anche dal suo Governo che intervenne in Costa d’Avorio nel 2002 senza il consenso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Parigi intendeva mostrare la sua buona volontà nel rispettare le leggi internazionali ottenendo l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza prima di inviare le sue forze armate all’estero. Allo stesso tempo, la legalità dell’intervento era molto importante; ogni intervento umanitario deve essere approvato da istanze internazionali, dalla comunità delle Nazioni, e deve essere conforme al diritto internazionale, dato che ogni violazione delle norme avrebbe minato il carattere filantropico dell’operazione. La Francia non desiderava essere oggetto di accuse di neo colonialismo per questa delicata missione africana, perché stava cercando di riottenere influenza e importanza sulla scena internazionale. Eventuali problemi con l’Operazione Serval avrebbero messo a repentaglio le possibilità di successo del suo progetto, al contrario, una missione umanitaria di assistenza coronata da successo sarebbe stata redditizia dal punto vista economico e politico.

È interessante soffermarci su alcuni aspetti dell’Operazione Serval che non sono stati affrontati dalla Francia quando ha spiegato le motivazioni per cui stava intervenendo. In effetti, Parigi ha assunto apertamente il suo dovere verso il Mali dando diverse giustificazioni, non riconoscendo, tuttavia, né la sua parte di responsabilità in ciò che stava accadendo nel Paese Africano, né l’importanza dei suoi interessi nella regione del Sahel.

Quando la Francia decise di colonizzare i territori africani creò dei confini che non tenevano conto della forte diversità etnica della popolazione. Di conseguenza, sono esplosi periodicamente degli scontri sia durante l’età coloniale sia dopo l’indipendenza; ad esempio, molte delle crisi verificatesi in Mali sono avvenute tra i Tuareg e i Sub-Sahariani anche a causa dei confini coloniali. Dagli anni Sessanta ai Novanta, la Francia è stata molto presente nelle sue ex colonie al fine di mantenere una relativa stabilità grazie all’esistenza di accordi di cooperazione nell’ambito della difesa che hanno evitato che i conflitti africani degenerassero ulteriormente; gli accordi di cooperazione ereditati dal periodo post coloniale sono stati cancellati dopo la crisi degli anni Novanta, tuttavia, la Francia mantiene ancora, anche senza questi accordi, una forte influenza sui Paesi Africani francofoni a causa del fatto che altri accordi sono stati firmati in molti settori come l’istruzione, l’amministrazione e la sicurezza.

Un altro fatto di grande importanza nel caso del Mali è che tra il 1968 e il 1991 il Paese ha sostenuto il dittatore Moussa Traoré che aveva rovesciato con un colpo di Stato il legittimo Presidente Modibo Keïta, la cui leadership si era caratterizzata per un rinnovato centralismo governativo, molto somigliante a quello della Francia durante il periodo coloniale.

La dittatura di Traoré si contraddistinse per la liberalizzazione dell’economia, la riduzione delle libertà civili e la corruzione endemica nell’amministrazione e nella politica. Le conseguenze per il Mali sono state disastrose; in un breve periodo di tempo, la Nazione Africana è divenuta un Paese con restrizioni della libertà, alta disuguaglianza, e molti problemi economici derivanti dall’estrema povertà della maggior parte della popolazione.

All’inizio dell’Operazione Serval, il Governo Francese negò fermamente di avere interessi particolari in Africa, sostenendo che l’intervento mirava soltanto a salvare dei civili inermi. Gli interessi francesi non si trovano specificatamente nel Mali, anche se possiede risorse naturali importanti come oro e gas; ciò che conferisce tanta importanza al Paese è la sua posizione geografica, trovandosi nel cuore della regione del Sahel. Inoltre, il Nord del Mali, dove si trovano i combattenti jihadisti, ha un confine con il Niger, uno Stato in cui è concentrata la maggior parte degli interessi francesi, dato che il Paese è ricco di uranio. La società francese Aréva, specializzata in energia nucleare e che ha base nel Niger, fornisce alla Francia il 75% della sua elettricità. La perdita di questa società sarebbe disastrosa, e impensabile per Parigi, tanto che le truppe francesi sono state schierate sul sito della società per garantire la sicurezza del personale. Fin dall’inizio del conflitto nel Nord del Mali, la Francia ha inviato altri soldati in Niger per proteggere l’estrazione di uranio, infatti, il Governo temeva che le turbolenze nel Mali avrebbero avuto un effetto negativo anche sul Niger.

Il dispiegamento delle truppe nella Repubblica Centrafricana è avvenuto solo pochi mesi dopo quello in Mali, potendo lasciare adito ad accuse di neo colonialismo alla Francia. Tuttavia, osservando attentamente la missione nella Repubblica Centrafricana, è possibile affermare che in se stessa l’operazione non è stata messa in discussione, infatti, non ci sono state critiche su questo intervento. Ciò è dovuto al fatto che la Francia era veramente riluttante a inviare delle truppe in questo Paese, difatti, il Presidente Francese, per la prima volta, si era rifiutato di intervenire dopo la richiesta del Presidente della Repubblica Centrafricana.

L’Operazione Sangaris nella Repubblica Centrafricana ha assunto delle caratteristiche differenti rispetto all’intervento in Mali.

Il primo elemento che è possibile notare quando si legge il discorso di François Hollande del 5 dicembre del 2013[16], che annunciava l’Operazione Sangaris, è la somiglianza con le dichiarazioni sull’intervento in Mali. Si riscontrano anche le stesse giustificazioni fornite per l’Operazione Serval: la responsabilità di proteggere, il dovere di aiutare, e la legittimità della missione. Il Presidente Francese ha insistito molto anche sul fatto che l’intervento aveva un solo obiettivo, quello di salvare vite umane. Il discorso e le giustificazioni non sono nuovi in termini di legittimazione, essendo già stati utilizzati in passato, tuttavia, se si confrontano le due dichiarazioni, possiamo notare che quella dedicata alla Repubblica Centrafricana è molto più povera quando si tratta di fornire elementi per spiegare le azioni francesi. In effetti, la Francia ha deciso di mantenere le stesse argomentazioni, ma ciò che stava accadendo nella Repubblica Centrafricana era completamente diverso da ciò che stava accadendo in Mali.

La responsabilità di proteggere è stata nuovamente evocata. Nondimeno, la situazione del Paese situato nel centro dell’Africa non è la stessa del Mali. Nella Repubblica Centrafricana non vi sono terroristi che minacciano la popolazione e rappresentano un pericolo per la regione e per il mondo, si tratta di un conflitto interreligioso causato da una strumentazione politica e religiosa. Il conflitto nella Repubblica Centrafricana può divenire una guerra civile su base religiosa, ma, al contrario del Mali, gli osservatori ritengono che vi siano poche probabilità che si diffonda ai Paesi vicini. Questo è il motivo per cui questo conflitto non ottiene molta attenzione; per esempio, vi è stata una mancanza di comprensione da parte della popolazione francese, che si chiedeva se la Francia dovesse intervenire in ogni conflitto interreligioso e interetnico nel continente africano. Il Capo di Stato Francese ha risposto a questa domanda in una dichiarazione fatta a Bangui, la capitale della Repubblica Centrafricana, spiegando che l’esercito francese era stato inviato per frenare gli assassinii di massa, gli stupri, e per salvare i bambini-soldato impiegati dalle diverse milizie presenti nel Paese[17].

Nel discorso del 5 dicembre del 2013, il Presidente Hollande affermò che era dovere della Francia assistere un piccolo e povero Paese, la Repubblica Centrafricana, che chiedeva aiuto. Le truppe francesi avevano in effetti un compito delicato, data la contrapposizione religiosa tra i gruppi musulmani Seleka e quelli cristiani anti Balaka. Inoltre, la missione avrebbe potuto avere una lunga durata, rispetto ai pochi mesi previsti. L’enfasi per questo intervento è stata posta soprattutto sul fattore umanitario, piuttosto che sui legami che indubbiamente esistono tra i due Paesi. È ipotizzabile che questa scelta sia dipesa dal particolare legame che ha unito la Francia alla Repubblica Centrafricana che è stato, anche dopo l’indipendenza formale del Paese Africano, una sorta di protettorato francese, estrema rappresentazione della «Françafrique». Data la particolare natura delle relazioni con la Repubblica Centrafricana, non stupisce che il Presidente Francese abbia dedicato meno spazio nei suoi discorsi ufficiali all’Operazione Sangaris.

La comunità internazionale era consapevole della necessità di un intervento urgente per fermare il conflitto interno al Paese Africano, ma nessuno Stato era entusiasta di intervenire, nemmeno la Francia; questo è forse uno dei motivi per cui la missione nella Repubblica Centrafricana non è stata oggetto di critica.

L’amministrazione francese ha esplicitato brevemente che l’intervento era legale, infatti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva autorizzato l’Operazione Sangaris con la risoluzione 2127[18]. Il Presidente Hollande ha sottolineato proprio questo aspetto dell’intervento, mentre aveva fornito una legittimazione più dettagliata della missione in Mali.

L’attenzione dedicata a questa missione da parte dei media francesi è stata limitata, non trasmettendo molte informazioni a proposito; è possibile che l’attenzione sia stata maggiormente indirizzata verso le elezioni europee e comunali e, soprattutto in Europa, al conflitto in Ucraina.

Anche se il conflitto nella Repubblica Centrafricana è prettamente interno, gli Stati confinanti hanno espresso delle preoccupazioni a causa della vicinanza geografica, chiedendo, per questa ragione, l’intervento della Francia per la risoluzione della crisi, sostenuti dal fatto che l’ex Impero è intervenuto in molti conflitti anche dopo l’indipendenza formale dei Paesi Africani.

Dopo svariati mesi di riflessione, il Presidente Francese ha accettato di inviare delle truppe, ma solo con l’obiettivo di condurre una missione di pace che doveva essere di breve durata, meno di sei mesi. La legittimazione ufficiale non è stata abbastanza forte da nascondere l’atteggiamento riluttante del Governo Francese per l’intervento in questa ex colonia.

La missione Sangaris rappresenta un onere difficile da sopportare per la Francia, che ha interessi minori nella Repubblica Centrafricana rispetto al Mali. L’operazione durerà molto più del previsto a causa della complessità della crisi, inoltre, anche se la Francia riceverà supporto tecnico, finanziario e militare dagli altri Paesi Occidentali, l’onere economico maggiore ricadrà sul suo budget, già gravato dalla crisi economica.

L’intervento nella Repubblica Centrafricana illustra chiaramente come la Francia sia rimasta vittima del legame di dipendenza che la lega da sempre alle sue ex colonie; infatti, il Presidente Francese, seppur consapevole degli svantaggi derivanti dall’intervento nella Repubblica Centrafricana, ha deciso di inviare delle truppe. Come conseguenza di questo intervento, sarà difficile rifiutare di inviare delle forze armate per mantenere la pace nell’Africa Sub-Sahariana qualora si presentasse un nuovo conflitto. Inoltre, gli Stati francofoni desiderano rinsaldare i legami che li uniscono a Parigi. Indubbiamente, la Francia dovrà confrontarsi in futuro con altre richieste da parte delle ex colonie politicamente instabili, rimanendo bloccata nel ruolo di «gendarme dell’Africa».

La Francia si trova nell’impossibilità di lasciare che le ex colonie affrontino autonomamente le crisi al loro interno, in realtà, per molto tempo gli interventi militari sono stati il simbolo del potere francese in Africa. D’altro canto, è importate evidenziare che le élite politiche africane sembrano voler permanere ancora in uno stato di minorità, in quanto non vogliono affrontare autonomamente le crisi interne da loro stesse spesso causate e strumentalizzate per fini prettamente personali.

La storia e le istituzioni hanno avuto un grande impatto sulle decisioni contemporanee della Francia; tenerne conto ha permesso di studiare le variazioni nel tempo della politica estera francese verso l’Africa.

Il presente contributo ha rilevato come la nuova politica estera di François Hollande non sia stata così diversa dalle precedenti; sono stati effettivamente apportati dei miglioramenti al fine di rispettare la normalizzazione delle relazioni franco-africane voluta dalla comunità internazionale, ma è piuttosto evidente che l’ex Impero Coloniale ha utilizzato progressivamente strumenti già adoperati in passato per conservare o conquistare potere e influenza nell’Africa Sub-Sahariana, ripristinando modalità di interazione tipiche della «Françafrique».

La politica estera di Emmanuel Macron, successore di Hollande all’Eliseo, presenta, da questo punto di vista, una totale continuità con il passato, non apportando alcuna innovazione nelle relazioni con l’Africa francofona nonostante la retorica ufficiale.


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Note

1 Confronta 98/350/CFSP: Common Position of 25 May 1998 defined by the Council on the basis of Article J.2 of the Treaty on European Union, concerning human rights, democratic principles, the rule of law and good governance in Africa, «Official Journal» L 158, 2 June 1998 P. 0001-0002.

2 Confronta Second revision of the Cotonou Agreement – Agreed Consolidated Text, 11 March 2010, 19 March 2010, http://ec.europa.eu/development/icenter/repository/second_revision_cotonou_agreement_20100311.pdf

3 Confronta Douglas Yates, France, the EU, and Africa, in Adekeye Adebajo and Kaye Whiteman (eds), The EU and Africa: From Eurafrique to Afro-Europa, (London: Hurst, 2012), pagina 328.

4 Confronta Discours de Monsieur Nicolas Sarkozy, Président de la République française, Université de Dakar, Sénégal, 26 July 2007.

5 Confronta Chinese president starts state visit to Tanzania, Xinhua, 25 March 2013, http://news.xinhuanet.com/english/china/2013-03/25/c_124496973.htm

6 Confronta Christina Stolte, Brazil in Africa: Just Another BRICS Country Seeking Resources?, Chatham House Briefing Paper, November 2012.

7 Confronta Fantu Cheru and Cyril Obi (eds), The Rise of China and India in Africa (London: Zed Books, 2010).

8 Confronta Alpaslan Özerdem, How Turkey is emerging as a development partner in Africa, «The Guardian», 10 April 2013.

9 M. Sitbon, (n.d), La vision Gaullienne du monde, http://www.de-gaulle.info/charlot/afrique-exploitee-2.shtml

10 B. Charbonneau, Dreams of Empire: France, Europe, and the New Interventionism in Africa. «Modern & Contemporary France», 16 (3), 2008, pagina 281.

11 E. H. Carr, (1937) Great Britain as a Mediterranean Power. In: J. Chipman, French Power in Africa. Oxford: Basil Blackwell, 1989, pagina 25.

12 Mali – Déclaration du président de la République, M. François Hollande, à l'issue du Conseil restreint de défense. Paris, 12 January 2013. http://basedoc.diplomatie.gouv.fr/exl-php/cadcgp.php CMD=CHERCHE&QUERY=1&MODELE=vues/mae_internet___recherche_avancee/home.html&VUE=mae_internet___recherche_avancee&NOM=cadic__anonyme&FROM_LOGIN

13 Mali Crisis: Allies «Must Do More» to Aid France and Mali in War on Islamists. «International Business Times». 20 January 2013.

14 United Nations (1945). Charter: Article 51. San Francisco.

15 United Nations, Security Council (2012). Resolution 2085. New York.

16 F. Hollande, RCA – Déclaration du président de la République. Paris, 5 December 2013.

17 F. Hollande, République centrafricaine – Déclaration de M. François Hollande, président de la République. Paris, 23 January 2014. http://basedoc.diplomatie.gouv.fr/exl-php/cadcgp.php CMD=CHERCHE&QUERY=1&MODELE=vues/mae_internet___recherche_avancee/home.html&VUE=mae_internet___recherche_avancee&NOM=cadic__anonyme&FROM_LOGIN=1

18 United Nations, Security Council (2013). Resolution 2127. New York.

(gennaio 2019)

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