Secondo Guglielmo Emanuel[1],
corrispondente del «Corriere della Sera»,
l’Ottavo Congresso Sionista svoltosi all’Aja
nell’agosto del 1907[2],
mostrava i segni evidenti della crisi che il
movimento stava attraversando[3].
Il giornalista constatava la presenza di due
tendenze, la politica e la pratica; la prima
orientata ad ottenere il consenso delle
Potenze alla costituzione di uno Stato Ebraico
in Palestina, influendo sulle decisioni dei
Governi per mezzo dell’unione di tutti gli
Israeliti, l’altra mirante ad accrescere
l’emigrazione ebraica, assicurandosi il
possesso del territorio e la colonizzazione
della Terra Santa. Gli Ebrei Orientali
perseguitati trovavano nel sionismo
l’appagamento di una necessità immediata,
economica e sociale, la liberazione, il
realizzarsi di un’aspirazione religiosa,
mentre gli Israeliti Occidentali
sottolineavano l’orgoglio nazionale, inteso
come consapevolezza di costituire una Nazione,
e l’elevazione della «razza».
La tendenza pratica si era imposta all’ultimo
Congresso, facendo perdere al movimento la
caratteristica di azione politica «che era
stata la sua forza e la sua ragion d’essere,
per confondersi con i tentativi falliti o
dubbi di colonizzazione “palestinica” che
l’hanno preceduto».
Max Nordau, intervistato dal giornalista,
confermava la necessità per il movimento di
rimanere politico e biasimava il rifiuto
dell’offerta inglese concernente l’Uganda[4], poiché l’unico
risultato ottenuto era l’accresciuta ostilità
dell’Impero Ottomano, preoccupato della
possibile disgregazione dei suoi territori.
Per Emanuel, la decisione dell’ultimo
Congresso di aumentare l’emigrazione ebraica
in Palestina privava i leader sionisti del
miglior argomento di cui disponevano nelle
trattative con l’Impero, infatti, se il
popolamento di regioni desertiche e la
creazione di nuova ricchezza per il fisco
turco fossero avvenuti senza nemmeno attendere
la più vaga prospettiva di un regime autonomo,
che interesse avrebbe avuto il Sultano, si
chiedeva provocatoriamente il giornalista, a
fare simili concessioni? «Bisognava conoscere
ben poco la storia e la psicologia turca per
illudersi».
Nordau concludeva ricordando «l’esempio
luminoso» del Risorgimento Italiano, che gli
aveva dato la fede di vedere, un giorno,
ricostituita la «Nazione Ebrea». È
interessante notare come la correlazione fra
il nostro Risorgimento e il futuro
risorgimento ebraico fosse un tema molto caro
a Max Nordau[5],
riscontrabile anche nell’articolo sulla
dichiarazione Balfour del Senatore Francesco
Ruffini, importante collaboratore del
«Corriere»[6].
Il corrispondente intervistò anche Alexander
Marmorek[7],
insigne scienziato, che aveva pronunciato una
requisitoria implacabile contro il Congresso,
accusandolo di distruggere la concezione
sionista di Herzl e le simpatie dei non Ebrei.
Per lo scienziato, la «questione ebraica» non
avrebbe trovato una soluzione con l’aumentare
il numero degli Israeliti in Palestina, ma
ottenendo un «self-government» sotto la
sovranità del Sultano, con un’autonomia
garantita dalle Grandi Potenze.
Emanuel notava come entrambi gli intervistati
appartenessero all’intellettualità ebraica,
mentre la gran massa degli Israeliti
Orientali, perseguitati e in pessime
condizioni economiche, non poteva certamente
seguire i loro programmi.
Le discordie esistenti rendevano impossibile,
per l’articolista, la fondazione di uno Stato
Ebraico.
Note
1 Guglielmo Emanuel
(1879-1965). Corrispondente e successivamente
direttore. Assunto nel «Corriere della Sera»
nel 1905, già collaboratore de «La stampa» dal
1902, era assistente nella facoltà di chimica.
Nominato corrispondente da Londra, dove rimase
fino al 1913, salvo qualche parentesi di
viaggio in Argentina e, durante la guerra di
Libia, ad Atene ed al Cairo. Dal 1920 divenne
corrispondente politico della redazione
romana. Sempre fedele ad Albertini, uscì con
lui nel 1925. Dopo l’allontanamento dal
«Corriere», divenne corrispondente per
un’agenzia di stampa statunitense,
l’«International News Service», e per il
londinese «Daily News». Con la fine del
conflitto, fu direttore del quotidiano «Il
Giornale» di Napoli, di tendenze monarchiche e
poi del «Corriere» nel 1946 dopo
l’estromissione di Mario Borsa. Nel periodo
1956-1959 fu presidente del Circolo della
Stampa di «Milano Voce», curata da Paola
Caridi: in Dizionario
biografico italiano, XLII, Roma,
Istituto della Enciclopedia italiana, 1965,
pagine 541-544; Glauco Licata, Storia
del «Corriere della Sera», Milano,
Rizzoli, 1976, pagine 109, 592.
2 Il «Corriere» aveva
dedicato al congresso solamente un breve
servizio, anche se pubblicato in prima pagina,
rilevando la discordia esistente fra i
partecipanti. Guelfo Civinini, Il
Congresso Sionista. Il trionfo di Max Nordau,
«Corriere della Sera», 15 agosto 1907.
3 Guglielmo Emanuel, Il
sionismo e la sua crisi. I giudizi di Nordau
e Marmorek, «Corriere della Sera», 6
settembre 1907.
4 Per il rifiuto dell’offerta
inglese confronta Anonimo, Il
Congresso dei sionisti, «Corriere
della Sera», 31 luglio 1905.
5 Confronta Anonimo, Un
colloquio con Max Nordau, «Corriere
della Sera», 29 agosto 1903.
6 Confronta Francesco
Ruffini, Sionismo,
«Corriere della Sera», 17 giugno 1920.
7 Alexander Marmorek
(1865-1923). Batteriologo e leader sionista.
Nacque a Mielnice in Galizia, studiò medicina
a Vienna e a Parigi. Nominato capo del
laboratorio «Pasteur», fece importanti
scoperte per la cura della tubercolosi e della
scarlattina, scoperte che furono la base per
gli studi sul tifo e sul diabete. Amico intimo
di Herzl, si oppose strenuamente alla linea
«pratica», rifiutando di partecipare al
Congresso del 1921, considerando il mandato
britannico non corrispondente all’idea di
Stato di Herzl. In Francia, fondò il mensile
«L’echo sioniste» e divenne Presidente della
Federazione Sionista Francese. Durante la
Prima Guerra Mondiale, fu ufficiale medico per
gli Alleati nell’Europa Orientale. Confronta Encyclopaedia
Judaica, Jerusalem, Keter Publishing
ltd, 1971, pagine 1012-1013.