La democrazia in Marocco: progressi e arretramenti
Dalla stagnazione politica alle riforme in una società legata ai valori tradizionali, autoritari e patriarcali: la storia politica del Marocco dall’indipendenza ad oggi

Nei tre decenni successivi all’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia nel 1956, il Marocco è stato caratterizzato da una stabilità tendente alla stagnazione. Nel corso del 1991, questa Monarchia Nordafricana intraprese un percorso di riforme dall’alto verso il basso. Re Hassan II mosse i primi passi del processo negli ultimi anni del suo lungo regno, seguito in ciò anche dal figlio Mohammed VI, salito al trono nel 1999.

Prima di procedere all’analisi delle riforme politiche e istituzionali, è opportuno delineare brevemente il sistema politico marocchino antecedente, istituito dal Re Mohammed V alla fine del protettorato francese e rimasto pressoché invariato fino ai primi anni Novanta. In un momento storico in cui la maggior parte dei Paesi Arabi e Africani adottava dei sistemi politici a partito unico, il Marocco rimase un’eccezione, anche se il pluripartitismo fu prettamente formale, essendo fortemente limitato nella pratica politica. Tornato dall’esilio come il campione della sovranità nazionale riconquistata, Mohammed V fu in grado di emarginare i partiti politici che avrebbero potuto sfidarlo, tra questi il Partito Istiqlal (indipendenza), che aveva guidato la lotta per l’autodeterminazione, e l’ala sinistra dell’Unione Nationale des Forces Populaires (UNFP), vincitrice delle prime elezioni post-indipendenza. Il Re destituì il Governo formato dall’UNFP, formandone uno proprio, agendo come un Primo Ministro, e consolidando, allo stesso tempo, il suo potere garantendosi l’appoggio dei notabili rurali e degli apparati di sicurezza. Il Monarca trasse un notevole vantaggio anche dal suo carisma personale, dalla popolarità della Monarchia e dai potenti patronati. Il sistema politico ereditato dal figlio Hassan II nel 1961 si caratterizzò, quindi, per un controllo diretto della Monarchia, una centralizzazione del potere e un quadro politico debole e frammentato.

In trent’anni di regno, Hassan rinsaldò la sua posizione, soffocando la vita politica indipendente attraverso un mix di manipolazioni istituzionali, dipendenza dalle reti clientelari e repressione dell’opposizione.

La Costituzione del 1962 confermò il modello di dominio da parte del Sovrano, conferendogli la prerogativa di nominare e destituire il Primo Ministro e il Governo a sua discrezione, senza riguardo per l’esito delle elezioni, di sciogliere il Parlamento e di assumere poteri emergenziali illimitati.

È importante evidenziare come il forte potere politico attribuito al Sovrano dalla Carta Costituzionale traesse origine anche da altri fattori; dal punto di vista religioso, il Re del Marocco è considerato un discendente del Profeta e, come «Amir al-Mu Minin», Comandante dei Fedeli, la suprema autorità religiosa nel Paese. Inoltre, Hassan poté giovarsi anche del potente establishment legato alla casa reale, il «Makhzen», un termine generico che originariamente indicava una élite comprendente amministratori regionali, provinciali e ufficiali dell’esercito, ma che si è evoluto includendo tutti coloro che sono al servizio della Monarchia e connessi ad essa da radicate reti clientelari. Dato che la Monarchia ha sempre controllato le risorse economiche, oltre al potere politico, essere parte del Makhzen è fondamentale per la mobilità sociale.

Per quanto concerne l’ambito politico, è interessante osservare come i partiti politici esistenti, in base ad un pluripartitismo prettamente formale, non avessero né libertà operativa né efficacia, poiché il Sovrano era riuscito, tramite la cooptazione e la divisione, a mettere le organizzazioni politiche le une contro le altre, anche favorendo la nascita di nuovi partiti al solo fine di controllare e frammentare quelli che riteneva pericolosi per il suo potere assoluto.

Negli anni Sessanta e Settanta, il Re dovette affrontare nuove sfide, come alcuni tentativi di colpo di stato, a cui rispose con un inasprimento della repressione, che sfociò nel rapimento e nella «scomparsa» di centinaia di oppositori, e nell’imprigionamento e nella tortura di altre migliaia. Le vittime della repressione furono tutti coloro che potevano rappresentare una minaccia; per la maggior parte dei casi, si trattava di politici appartenenti alle file dei partiti di Sinistra, ma vi furono anche islamici, fautori dell’indipendenza del Sahara Occidentale e militari implicati nei falliti colpi di stato.

Gli «annèes de plomb» («anni di piombo») portarono anche all’annullamento della libertà di espressione, poiché ogni critica al regime era punita con la carcerazione. È indicativo, del clima di degli anni Settanta, che i partiti dell’opposizione non pronunciassero mai i nomi delle prigioni segrete e illegali, tra le quali Tazmamart e Agdz, in cui Hassan aveva imprigionato dozzine di militari e numerosi civili[1].

Il Marocco rimase in una stasi politica fino agli anni Novanta, allorquando, in risposta al cambiamento del contesto geopolitico regionale e internazionale e alla prossima fine del suo lungo regno, Hassan II cambiò la sua condotta di governo, iniziando un lento processo di apertura del sistema politico.

Sul fronte interno, gravi siccità avevano costretto molti abitanti delle zone rurali a spostarsi verso le città, aumentando la disoccupazione e il malcontento sociale; tali fenomeni furono abilmente sfruttati, a livello propagandistico, dai gruppi islamici. Inoltre, il fatto che il Paese avrebbe affrontato, data l’età avanzata del Sovrano, una imminente successione fornì un ulteriore incentivo ad Hassan II per introdurre delle modifiche mentre aveva ancora il pieno controllo del potere, piuttosto che affidare la sfida del cambiamento al suo successore.

Uno dei primi segnali dell’instaurarsi di un clima politico diverso fu il discorso, nel 1991, tenuto da Mohammed Bensaid, leader di un piccolo partito di Sinistra, l’Organizzazione per l’Azione Democratica e Popolare (OADP), e combattente contro la Francia durante la guerra di indipendenza, che ruppe il «tabù Tazmamart», per cui nessuno poteva parlare delle carceri segrete del regime. Davanti alla Camera dei Rappresentanti, riunita durante la sessione primaverile, Bensaid rievocò apertamente gli orrori e le sofferenze del carcere di Tazmamart, senza subire ripercussioni.

È interessante notare come il contesto geopolitico internazionale abbia concorso al cambiamento del regime. Quando l’Iraq invase il Kuwait nell’agosto del 1990, Hassan supportò la coalizione guidata dagli Stati Uniti, inviando circa 1.300 soldati in Arabia Saudita a sostegno della campagna anti-Saddam. Isolato, Saddam Hussein affermò che la liberazione della Palestina sarebbe stata possibile esclusivamente attraverso il Kuwait, annuncio che cambiò drasticamente il clima politico in Marocco, provocando manifestazioni pro-Iraq in tutto il Paese, nonostante gli sforzi della polizia per reprimerle. Nel gennaio del 1991, poco dopo l’inizio delle operazioni militari, il Re annunciò in televisione che ogni tipo di manifestazione per l’Iraq sarebbe stata vietata. La tensione non fece che aumentare in tutto il Paese, con proteste pubbliche pro-Iraq esplose in molte città, in cui attivisti di Sinistra sfilavano insieme agli islamisti, che apparivano in pubblico per la prima volta. La gravità della crisi fu esemplificata dalla reazione del Governo Spagnolo, preoccupato dall’eventualità che Hassan decidesse, per evitare un colpo di stato, di lanciare una nuova «marcia verde» contro le enclave spagnole di Ceuta e Melilla.

Il Re non ordinò nessuna operazione contro le due enclave spagnole, ma la pressione pubblica lo obbligò ad autorizzare una grande dimostrazione nazionale pro-Iraq, svoltasi a Rabat e non a Casablanca, città più popolosa e roccaforte dell’opposizione, cui parteciparono, secondo le stime, circa mezzo milione di persone. La manifestazione vide la partecipazione non solo dei partiti laici, ma anche degli islamisti.

Lo svolgimento pacifico della manifestazione, che non produsse incidenti o rischi per la sicurezza, aumentò la pressione dell’opinione pubblica sul Re e sul suo apparato di Governo affinché fosse superata la norma che vietava ogni manifestazione pubblica. Nei mesi successivi, i media ebbero una maggiore libertà e alcuni tabù, come criticare i Servizi Segreti o la politica del Re, furono infranti.

Dal punto di vista prettamente politico, il Re si rivolse ai leader dei partiti di opposizione, l’Istiqlal e l’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP), per aumentare la sua statura politica; questo era l’inizio di una fase di disgelo politico che sarebbe continuata fino alla metà degli anni Duemila.

Oltre alle fonti interne di pressione di cui sopra, una fase di apertura politica stava interessando la regione, costringendo, di conseguenza, Hassan ad abbandonare la sua gestione autoritaria del Paese. Per due anni, l’Algeria aveva sperimentato una primavera democratica e la Tunisia sembrava aver optato per relazioni non repressive con i partiti d’opposizione. Inoltre, nell’area francofona sub-sahariana si stavano svolgendo svariate Assemblee Nazionali, che in molti Paesi avrebbero portato al superamento del modello del partito unico.

Allo stesso tempo, si stavano facendo sempre più incalzanti le pressioni sul Re a livello internazionale per un cambiamento della sua linea politica. In Francia, il Governo Socialista del Presidente François Mitterrand fece pressioni sul Marocco affinché migliorasse la situazione dei diritti umani nel Paese[2]. Anche gli Stati Uniti assunsero una posizione similare a quella francese.

Inoltre, dopo la caduta del muro di Berlino, l’esercito ben addestrato marocchino non aveva più la funzione di baluardo anti-comunista dell’Occidente nell’Africa Sub-Sahariana.

Tutti questi fattori spinsero la Monarchia ad integrare l’opposizione nel Governo del Paese.

In un momento così delicato per gli equilibri interni del Marocco, il contesto geopolitico regionale conobbe dei notevoli cambiamenti; infatti, il fallimento degli sforzi di democratizzazione in Algeria (1988-1991) e la fine del periodo relativamente liberale in Tunisia (1987-1991) ridussero la pressione esterna sul regime marocchino, che si trovò in una posizione più forte per negoziare con l’opposizione, a quel tempo riunita nel blocco democratico, «Kutla Dimocratiya». Tuttavia, è possibile che l’esempio dell’Algeria, sconvolta da una sanguinosa guerra civile tra le forze di sicurezza e gli islamisti, sia servito alla Monarchia Marocchina per comprendere la vulnerabilità dei sistemi politici autoritari.

La grave malattia del Re Hassan, resa nota pubblicamente alla metà degli anni Novanta, spinse la Monarchia e l’opposizione a concessioni reciproche, dato che entrambe le parti preferivano un compromesso all’incertezza derivante dalla morte di un regnante di lunga data in un periodo di turbolenze interne.

Le riforme attuate da Hassan II possono essere suddivise in quattro grandi categorie: maggiore rispetto dei diritti umani, un limitato aumento del potere del Parlamento, maggiori opportunità di partecipazione politica dei partiti e della società civile, e alcuni tentativi per frenare la corruzione.

Le iniziative di Hassan avevano lo scopo di migliorare la situazione dei diritti umani in Marocco, iniziative che hanno condotto alla formazione di un Consiglio dei Diritti Umani, il Conseil Consultatif des Droits de l’Homme (CCDH), e più tardi del Ministero per i Diritti Umani; al rilascio di alcuni prigionieri politici; alla riforma delle leggi sulla detenzione preventiva e sulle manifestazioni pubbliche; alla ratifica di importanti convenzioni internazionali sui diritti umani; alla creazione di una commissione speciale per indagare sulle sparizioni dei membri dell’opposizione.

Le modifiche costituzionali nel 1992 e nel 1996 hanno trasformato il Parlamento in un corpo bicamerale, con una Camera Bassa eletta a suffragio universale, la Camera dei Rappresentanti (mentre solo due terzi del vecchio corpo unicamerale era eletto direttamente), e ampliato l’ambito di competenza del Parlamento, che poteva approvare il bilancio e mettere in discussione i Ministri. L’istituzione del bicameralismo, in realtà, ha consolidato il controllo del Re sul Parlamento, dal momento che la Camera Alta, la Camera dei Consiglieri, è eletta indirettamente da organizzazioni professionali e consigli, nella cui composizione, quindi, giocano un ruolo molto importante le influenti élite locali. Di conseguenza, anche se i partiti riformisti detengono la maggioranza assoluta alla Camera dei Rappresentanti, con un Governo disposto ad esercitare i poteri riconosciutigli dalla Costituzione, l’Esecutivo può essere rovesciato dalla molto più conservatrice Camera dei Consiglieri, sulla quale il Makhzen ha un’influenza ancora più importante.

Inoltre, gli emendamenti costituzionali del 1996 hanno precisato che il Sovrano non aveva soltanto la prerogativa di imporre il veto sui progetti di legge, ma poteva anche modificarli a piacimento senza inviarli nuovamente ai legislatori ed emanare leggi senza consultare il Parlamento.

Di grande importanza politica è stata la decisione di Re Hassan di dialogare con i partiti politici in precedenza ostili al Governo. Il Monarca coinvolse direttamente tutti i soggetti politici nella discussione per la nuova legge elettorale e in altre decisioni riguardanti lo svolgimento delle elezioni. Inoltre, consentì la partecipazione alle votazioni del 1997, anche se sotto la bandiera di un debole partito, di un’organizzazione islamista, Al Islah wal Tajdid («Riforma e Rinnovamento»), che successivamente costituì il Parti de la Justice et Développement (PJD), una formazione politica moderata.

Il dialogo e i progressi nella gestione delle elezioni hanno portato a migliori relazioni tra la Monarchia e la maggior parte dei partiti politici, rendendo possibile, da parte del Re, la massima realizzazione politica di questo periodo riformista: l’alternanza.

A seguito delle elezioni parlamentari del 1997, il Re chiese ad Abdel Rahman Youssoufi, il leader dell’Union Socialiste des Forze Populaires (USFP), di formare il Governo. L’USFP era il successore del partito di Sinistra Union Nationale des Forces Populaires. Youssoufi era un avversario del regime di lunga data, avendo trascorso quindici anni in esilio dopo essere stato imprigionato due volte. La decisione di portare gli ex partiti di opposizione nel Governo non fu presa improvvisamente; Hassan II aveva cercato di attirare l’USFP e l’Istiqlal per diversi anni, ma entrambi avevano in precedenza rifiutato, dato che consideravano la partecipazione inutile fino a quando la Costituzione non fosse stata rivista per porre un limite al potere assoluto del Re e darne maggiormente al Governo e al Parlamento. Nel 1997, di fronte alla crescita dell’Islam politico, i partiti laici di opposizione accantonarono le loro obiezioni e unirono le forze con la Monarchia.

Il Governo Youssoufi incluse molti Ministri del Kutla, un blocco di partiti in precedenza all’opposizione, che comprendeva l’USFP, l’Istiqlal e una serie di partiti minori della Sinistra.

Il Re nominò, in accodo con le prerogative conferitegli dalla Carta Costituzionale, direttamente i Ministri della Sovranità: Interni, Affari Esteri e Giustizia.

L’alternanza è stata una mossa ambigua. Nel portare i partiti di opposizione al Governo, la Monarchia ha dato il segnale che era disposta ad aprire un processo democratico. Il Re scelse il Primo Ministro sulla base dei risultati delle elezioni, ma il cambiamento non limitò in alcun modo il potere reale e non modificò l’equilibrio di forze tra il Sovrano e i funzionari eletti.

Al contrario, l’alternanza fu progettata dal Re, che decise autonomamente della necessità di un simile passo, che non gli era stato imposto da una schiacciante vittoria elettorale dei partiti del blocco Kutla, che avevano ottenuto soltanto 102 seggi su 325. Il Governo Youssoufi era debole, poiché il Sovrano rimaneva, ancora una volta, unico arbitro della politica marocchina. La maggioranza parlamentare del Governo alla Camera dei Rappresentanti era esigua e la Camera dei Consiglieri, eletta indirettamente, era nelle mani dei conservatori.

Ideando l’alternanza, il Re era riuscito a cooptare i principali partiti di opposizione, senza essere costretto a rinunciare al potere ed a cambiare linea politica.

Teoricamente, gli emendamenti costituzionali del 1992 e del 1996 hanno trasferito più potere al Primo Ministro, ma sono stati solo parzialmente applicati durante il «Gouvernment d’Alternance». In realtà, la Costituzione marocchina non rappresenta un testo fondamentale, ma piuttosto un riferimento opzionale a cui la Monarchia può attenersi, inoltre, essa non può prevaricare la decisione ultima che spetta solamente al Sovrano. Un elemento fondamentale del sistema di governo è il concetto di tradizione, che svolge il ruolo implicito di Costituzione. Ciò non significa che la Costituzione e le riforme costituzionali siano inutili, infatti la Costituzione è la base, almeno teoricamente, del contratto sociale che è stato istituito in Marocco negli anni successivi all’indipendenza. Il grado di applicazione e interpretazione dei suoi articoli dipende dall’equilibrio di potere tra la Monarchia e le élite politiche e dal contesto regionale e internazionale.

Le riforme attuate da Hassan diedero più spazio anche alle organizzazioni della società civile. Lo sviluppo delle organizzazioni della società civile è stato l’inizio di un processo duraturo che si è esteso ben oltre la denuncia della corruzione, toccando temi come i diritti umani e i diritti delle donne. Le organizzazioni per i diritti umani sarebbero divenute cruciali nel far sì che gli abusi fossero oggetto di discussione pubblica e le associazioni per i diritti delle donne hanno negoziato e sostenuto la riforma del «Mudawwana», il diritto di famiglia.

L’ascesa al trono di Mohammed VI nel 1999 ha prodotto una notevole aspettativa su una nuova e più ampia fase di riforme. Fin dall’inizio, il giovane Sovrano ha cercato di dare un’immagine di sé molto diversa da quella paterna, infatti, mentre Re Hassan era stato distante e in disparte, fortemente attaccato ai valori tradizionali e conservatori, il figlio si è mostrato come un Sovrano moderno, interessato ad incontrare i suoi sudditi. Il giovane Re espresse l’intenzione di realizzare un nuovo concetto di autorità, con un governo basato sulla responsabilità e sul rispetto dei diritti civili, più che sull’autoritarismo.

Per quanto concerne l’ambito politico, il nuovo Sovrano si mostrò disposto a favorire il processo democratico, finalizzato all’istituzione di una Monarchia Costituzionale. In realtà, il suo approccio alle riforme si è rivelato sorprendentemente simile a quello paterno, concretizzandosi in un miglioramento dei diritti umani, nella lotta alla corruzione e nell’inclusione politica, attentamente controllata, di nuove formazioni politiche. Inoltre, il processo di riforma ha continuato ad essere guidato dall’alto, su iniziativa del Sovrano.

Mohammed VI ha prestato un’attenzione notevole all’agenda dei diritti umani, andando ben oltre l’operato del padre; per esempio, ha rafforzato il Conseil Consultatif des Droits de l’Homme, prendendo ulteriori misure per adeguare le leggi marocchine alle convenzioni internazionali, come la modifica del Codice Penale per abolire la tortura.

Degno di nota il riconoscimento da parte di Mohammed VI della responsabilità del Governo per le scomparse e gli abusi dei diritti umani. Meno di un mese dopo la successione, egli ha ammesso che l’Esecutivo era responsabile per i rapimenti, annunciando, altresì, la formazione di un Collegio arbitrale indipendente che avrebbe esaminato i singoli casi e risarcito le vittime e le loro famiglie.

Pochi mesi dopo, il Sovrano ha istituito l’Instance Equité et Réconciliation (IER) per far luce sugli abusi commessi tra il 1956 e il 1999, con la finalità di aiutare il Marocco a voltare pagina. È ancora oggetto di discussione se i due Comitati istituiti dal Monarca svolgano appieno la loro funzione, infatti si segnala come il Collegio arbitrale indipendente abbia impostato un termine brevissimo per l’applicazione, estromettendo centinaia di persone, risarcendo le vittime e le loro famiglie senza alcun interesse per la riconciliazione. Inoltre, la dimensione dei pagamenti varia straordinariamente in base a criteri poco chiari.

L’Instance Equité et Réconciliation (IER) aveva un mandato maggiormente avanzato, avendo come obiettivo la riconciliazione più che la compensazione finanziaria. Tuttavia, è possibile notare come anche questa istituzione abbia avuto delle notevoli carenze, infatti il suo mandato era limitato al 1999, quindi si escludevano gli abusi, segnalati da più parti, commessi durante la «guerra al terrore», dopo l’11 settembre 2001, inoltre l’IER ha avuto un rapporto conflittuale con le organizzazioni per i diritti umani, perdendo importanti opportunità di collaborazione. Nonostante queste critiche, e la più ampia discussione se le Commissioni per la riconciliazione siano la soluzione migliore per gestire gli abusi del passato, l’Instance Equité et Réconciliation è stata un’iniziativa senza precedenti nel mondo arabo; questa istituzione ha intervistato migliaia di vittime, condotto indagini sul campo in tutto il Marocco e audizioni pubbliche organizzate (broadcast in televisione, radio e Internet), e costruito un database di oltre 22.000 testimonianze. Soprattutto, ha reso pubblica la responsabilità del Governo nella violazione dei diritti umani, ancora più degna di nota se si pensa che non si faceva riferimento ad un tiranno decaduto, bensì al padre del Re.

Il regno di Mohammed VI è stato segnato da altre riforme di rilievo. In linea con la sua immagine moderna, il Re si è fortemente impegnato nella riforma del diritto di famiglia, il «Mudawwana». Il nuovo diritto di famiglia ha originariamente incontrato una forte opposizione da parte dei gruppi islamici, che nel 2004 hanno organizzato una manifestazione di massa contro di esso a Casablanca.

Il nuovo Codice ha innalzato l’età del matrimonio dai 15 ai 18 anni, permesso alle donne il divorzio consensuale, fissato un limite al diritto degli uomini di chiedere il divorzio unilateralmente, circoscritta la poligamia, e sostituito il dovere di obbedienza di una moglie con il concetto di responsabilità comune. Nonostante persistano ancora oggi problemi di applicazione pratica, mancanza di giudici formati e di informazioni tra le donne sui loro diritti, la portata della riforma fu notevole, ponendo il Marocco all’avanguardia, rispetto ad altri Paesi dell’area, sui diritti delle donne.

Le riforme attuate da Hassan II e da Mohammed VI non sono state superficiali, poiché il cambiamento che ha avuto luogo in Marocco è reale e sostanziale; infatti il Paese è più aperto, i temi un tempo tabù sono oggetto di dibattiti pubblici, la stampa indipendente è più libera, le donne hanno più diritti e gli abusi del passato sono stati riconosciuti, e sono state varate leggi allineate a quelle che regolano la vita di una democrazia moderna. Inoltre, le riforme adottate hanno il potenziale per generare nuove riforme e creare ulteriore slancio per il cambiamento.

Anche se il mandato dell’IER è stato limitato al periodo 1956-1999, per esempio, è difficile immaginare che violazioni simili dei diritti umani possano verificarsi per periodi prolungati in futuro, senza generare una forte protesta nella società civile.

Tuttavia, è importante evidenziare come, nonostante l’importanza delle riforme attuate da Hassan II e da Mohammed VI per la vita sociale ed economica del Paese, queste non siano riforme politiche capaci di cambiare la distribuzione del potere e la natura stessa del sistema politico.

L’elemento mancante nel progetto riformista del Re Mohammed è un nuovo sistema politico. Lontano dalla volontà di espandere l’operato del padre, come ha fatto in altri settori, il Re ha condotto ad un battuta d’arresto la riforma del sistema politico.

Come osservato in precedenza, i cambiamenti politici operati da Hassan II erano estremamente modesti. Gli emendamenti costituzionali che hanno creato un Parlamento bicamerale, secondo alcuni analisti, sono serviti per indebolire lo stesso Parlamento, aumentando il numero dei membri eletti indirettamente dalla parte conservatrice della società civile, strettamente legata alla Monarchia. Secondo l’ordinamento antecedente, solo un terzo del Parlamento era eletto indirettamente, ma adesso tutta la Camera dei Consiglieri, il 45% del Parlamento bicamerale, è eletto in questo modo.

Estendere la giurisdizione del Parlamento non ha aiutato nel processo di riforma, poiché il Re detiene ancora il potere di veto.

Il progetto dell’«alternanza» ideato da Hassan II non ha modificato le dinamiche politiche del Marocco, infatti l’ingresso nella compagine governativa dei due maggiori partiti di opposizione non è riuscito a innescare un processo di cambiamento autonomo.

Nel 2002, Mohammed VI è ritornato alla pratica di nominare un Primo Ministro senza tenere conto dei risultati delle elezioni, incaricando Driss Jettou, un tecnocrate fedele non allineato con alcun partito politico.

Mohammed VI non ha cercato di cambiare il sistema clientelare su cui fa affidamento la Monarchia, ha semplicemente sostituito persone fedeli al padre con altre fedeli a se stesso.

Durante il regno di Mohammed VI, le prerogative reali sono state utilizzate per portare avanti il cambiamento nell’ambito dei diritti umani, nella condizione delle donne e nel rendere pubblici gli abusi e la corruzione, ma non per aprire la strada ad una vera partecipazione politica, e ancor meno per aumentare la capacità delle istituzioni di controllare e sanare gli squilibri del potere.

La forma statuale del Marocco è, di conseguenza, una Monarchia Esecutiva, non costituzionale, né nel senso più stringente secondo il quale il Re regna ma non governa, né in un senso più ampio per cui il Re detiene un certo potere esecutivo, ma tale potere è definito e limitato dalla Costituzione.

L’emergere del terrorismo islamista ha avuto un forte impatto sulla vita politica del Marocco, impedendo l’instaurarsi di ulteriori riforme. Nel maggio del 2003, 12 attentatori suicidi, appartenenti alla Salafiya Jihadia e legati al Gruppo Combattente Islamico Marocchino (GICM), attaccarono cinque obiettivi occidentali ed ebraici nella città di Casablanca, causando la morte di 33 persone e il ferimento di altre 100. L’attentato ha provocato una riduzione delle libertà civili e dei diritti umani, ma non una completa involuzione rispetto agli anni Novanta.

È interessante prendere in esame la linea politica di tre Primi Ministri. Nel 1998, la nomina di Abderrahmane Youssoufi, membro di un partito di opposizione di tradizione socialista, creò molte aspettative, in Marocco e nel Maghreb in generale, su un progressivo avanzamento del processo di «democraticizzazione», divenendo, altresì, un modello per gli altri Paesi dell’area. Tuttavia, molti fattori hanno concorso all’instaurarsi di un nuova stasi politica: l’indebolimento delle forze di Sinistra e liberali, la continua crescita dell’islamismo, la guerra civile in Algeria, gli attentati dell’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti, e l’attentato di Casablanca del 2003. Di conseguenza, i Primi Ministri Driss Jettou e Abbas El Fassi hanno avuto meno potere rispetto a Youssoufi, detenendo uno status politico più debole rispetto ai predecessori. Dopo le elezioni parlamentari del 2007, la maggioranza dei membri dell’Esecutivo di El Fassi non fu raccomandata al Re dal Primo Ministro, come prescrive l’articolo 24 della Costituzione, bensì dal consigliere del Sovrano, Meziane Belfqih.

È indicativo del nuovo contesto politico che, dopo la sua nomina, il Primo Ministro El Fassi abbia annunciato che il suo unico programma era «il programma del Re», rinunciando pubblicamente alla piattaforma programmatica elaborata dal suo partito, su cui aveva incentrato la campagna elettorale.

È interessante soffermarsi su un altro protagonista della vita politica marocchina, il Parti Authenticité et Modernité (PAM), fondato nel 2008 da Fouad El Himma, con l’aperto sostegno della Monarchia. Lo scopo principale di questa nuova formazione politica era assicurare una maggioranza parlamentare artificiale al regime contro i partiti democratici. Non era la prima volta, nella storia del Paese, che la Monarchia creava un partito per indebolire le tendenze politiche prevalenti; infatti alla fine degli anni Cinquanta, la Casa Reale supportò la nascita del Movimento Popolare, un partito berbero, per contrastare l’Istqlal, che aveva i suoi maggiori sostenitori nelle aree urbane. Tra il 1960 e il 1980, il Makhzen, la rete clientelare monarchica, creò svariate formazioni e coalizioni politiche per ostacolare l’ascesa di un movimento popolare socialista. Questi esempi dimostrano gli sforzi della Monarchia Marocchina per mantenere l’autoritarismo, indebolendo ogni movimento popolare, anche quando mostra una fede monarchica.

Il PAM è stato abile nell’usare una retorica basata sulla tradizione autoritaria del Marocco per ottenere supporti. In tal modo, tuttavia, si è spesso contraddetto, proponendo un messaggio anti-islamista che contrasta con il suo elogio della funzione religiosa della Monarchia e del Re, come Comandante dei fedeli. Vi è, di conseguenza, un mix tra l’ambito politico e quello religioso, che è esattamente quello per cui sono condannati gli islamisti. L’anti-islamismo del PAM non è ideologico, ma politico, poiché l’islamismo rappresenta una delle più forti tendenze esistenti nella società marocchina ed è anche l’unica vera minaccia per l’autoritarismo reale.

Per quanto concerne i partiti di opposizione, è possibile notare come la forza politica dell’USFP sia declinata progressivamente nel corso degli anni, perdendo la sua tradizionale base elettorale, costituita da sindacati, impiegati pubblici e salariati, essendo sempre più dominata da notabili che assomigliavano più a degli «imprenditori politici» che a dei cittadini impegnati. Il risultato di una simile dinamica è stato lo spostamento della base elettorale verso le zone rurali.

Il sistema politico esistente in Marocco ha dimostrato la sua tossicità per i partiti democratici, che partecipano alla competizione politica senza una forte influenza, inoltre con tale partecipazione hanno perso tutti quei benefici intangibili derivanti dall’essere stati considerati difensori della verità, della democrazia e delle classi sociali meno abbienti. Senza ottenere i vantaggi della partecipazione alla vita politica, come l’esercizio del potere, in Marocco i partiti hanno subito il «Gouvernement d’Alternance», rivelatosi un abbraccio mortale.

Il regime ha avuto successo nel fare pressioni e isolare i leader del partito islamista PJD e del socialista USFP che continuavano a chiedere una riforma costituzionale, più libertà civili e uno Stato di diritto.

I partiti hanno dovuto, di conseguenza, abbandonare ogni speranza su un progressivo processo di democratizzazione, impegnandosi, invece, in una politica di sopravvivenza, rinunciando all’aspirazione di trasformare «la Monarchia con la Costituzione» in una «Monarchia Costituzionale».

È opportuno soffermarsi brevemente anche sul Parti de la Justice et Développement (PJD), una formazione politica islamica che ha acquisito delle caratteristiche più moderate; tuttavia, sebbene abbia accettato i meccanismi della democrazia, ne mette in discussione i valori, soprattutto riguardo alla parità tra uomo e donna per quanto riguarda l’eredità, la poligamia e l’accettazione dei diritti individuali.

Nel 2011, con lo sviluppo delle «primavere arabe» nei Paesi vicini e con il moltiplicarsi delle manifestazioni di dissenso anche in Marocco, organizzate dal movimento giovanile «20 Febbraio» che criticava il Governo del Paese e chiedeva un cambiamento politico, Mohammed VI decise di riformare la Costituzione. La nuova Costituzione, approvata da un referendum popolare nel luglio del 2011, aveva come fine il consolidamento del ruolo del Primo Ministro, definito Capo del Governo, del Parlamento e del sistema giudiziario. Inoltre, promuoveva i diritti umani, la parità delle donne, i diritti culturali dei Berberi, e incoraggiava la decentralizzazione.

Il Re continuava a detenere delle prerogative importanti, incluso il potere di sciogliere il Parlamento, e rimaneva comandante in capo delle forze armate e autorità religiosa suprema del Paese.

Oltre alla nuova Costituzione, il Re annunciò la formazione di un nuovo Consiglio per i diritti umani (con giurisdizione sul Sahara Occidentale) e nuove istituzioni regolatrici.

Le elezioni parlamentari, tenutesi nel novembre del 2011, furono interpretate da molti osservatori come un test sul favore dell’opinione pubblica verso l’agenda politica del Sovrano. Il Parti de la Justice et Développement (PJD) vinse molti seggi, ottenendo il governo del Paese per la prima volta. Inizialmente, il PJD formò una coalizione con il Partito Istiqlal, con il centrista Movimento Popolare (MP), e con il piccolo Partito del Progresso e del Socialismo (PPS). Tuttavia, alla metà del 2013, Istiqlal lasciò la coalizione per dissidi con il PJD sulla direzione politica del Governo, sostituito da un partito di Centro vicino alla Monarchia.

La linea politica del PJD, una formazione politica islamica moderata, non prevedeva cambiamenti politici profondi, ma una deferenza verso la Monarchia che ne aveva consentito l’integrazione nel sistema politico, come dimostrano le parole e gli atti del Primo Ministro Abdelilah Benkirane, che ha definito la famiglia regnante arbitro del sistema politico del Marocco e difeso le leggi che puniscono le critiche al Re.

L’influenza del PJD sulla vita politica è molto limitata, dato il ruolo dei consiglieri reali e la sua debole maggioranza parlamentare. Inoltre, il sospetto esistente tra i liberali marocchini verso gli islamisti, sentimento presente in tutta la regione, rende impossibile una cooperazione, nonostante l’interesse comune per una maggiore democratizzazione.

Dato il contesto geopolitico regionale, che attraversa una fase critica derivante dalla presenza dell’ISIS in molte aree della regione, difficilmente vi saranno delle pressioni a livello internazionale affinché la Casa Reale Marocchina adotti delle misure per divenire una vera Monarchia Costituzionale, poiché il Marocco, con la stabilità interna e la coesione nazionale garantite dalla Corona, rappresenta per l’Occidente un alleato prezioso contro l’islamismo fondamentalista.

Per quanto concerne il contesto interno, è innegabile il successo della Monarchia nello svolgere la funzione di suprema autorità per i fedeli, di baluardo contro l’islamismo e di forza modernizzatrice.

La forma statuale del Marocco, «una Monarchia Esecutiva con una Costituzione», non corrisponde ai paradigmi occidentali di Monarchia Costituzionale e di Stato Democratico; tuttavia, è opportuno considerare come, data la preponderanza nella società marocchina di valori tradizionali, autoritari e patriarcali, soltanto la Corona avesse la forza di imprimere una svolta moderna alla nazione, mantenendo, allo stesso tempo, la coesione interna, senza incorrere in una guerra civile dagli esiti incerti per il Paese e per il Maghreb nel suo complesso.


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Note

1 Più della metà dei prigionieri a Tazmamart morì per l’inumano trattamento nel «giardino segreto» del Re, come Hassan stesso definì le sue prigioni illegali.

2 Gli abusi del regime di Hassan furono resi noto al grande pubblico anche attraverso il libro Notre ami le Roi (Paris: Editions Gallimard, 1990) dell’autore francese Gilles Perrault. Il libro rimase per mesi nella lista dei bestseller.

(ottobre 2016)

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